
Sale la tensione nel Nord del Kosovo dopo l’insediamento dei nuovi sindaci albanesi nelle municipalità serbe
Dopo le targhe automobilistiche, una nuova questione rischia di deteriorare ulteriormente i rapporti tra la Serbia e il Kosovo e di aprire un nuovo fronte nel cuore dell’Europa perché, senza tanti giri di parole, il vertice di Chisinau è servito anche per sottolineare la gravità della situazione nella regione contesa tra serbi e albanesi.
A Zvecan ci sono stati degli scontri tra le forze NATO kfor e i serbi che hanno provocato decine di feriti, nei quali sono rimasti coinvolti 14 italiani. La minoranza serba ha occupato il municipio della cittadina, non permettendo così al sindaco, di etnia albanese, di insediarsi. Le elezioni municipale sono state boicottate dai serbi che non si sono presentati alle urne, facendo registrare un’affluenza alle urne molto bassa. Gli albanesi non hanno perso tempo a insediare, con tutti i crismi del caso, i nuovi eletti e questo ha scatenato le ire di Belgrado che intanto già aveva reagito di pancia alla tensione crescente tra i due Paesi, organizzando una grande manifestazione lo scorso venerdì 26 maggio, nella quale una gran folla si è riversata sulle strade, al coro dello slogan ormai divenuto popolare Kosovo je Srbija perché, come recitava uno striscione, una Serbia senza il Kosovo è come un uomo senza cuore.
Nei giorni scorsi, Javier Borrell ha chiesto alle parti in causa di trovare una soluzione e il premier Kurti ha affermato che coloro che “protestano pacificamente per chiedere elezioni anticipate, hanno un primo ministro che è più che disposto ad ascoltarli e forse è d’accordo con loro”. Apertura non casuale perché proprio gli Stati Uniti, principale sostenitore storico e politico di Priština, hanno deciso di cancellare il Kosovo dalla dall’esercitazione militare Defender 23. Questa è una novità rilevabile, tant’è che anche altri stati europei hanno manifestato una certa irritazione, sollecitando una messa in atto degli accordi firmati dieci anni fa con la Serbia per una creazione di un’Associazione di comuni serbi nel nord del Paese, cosa rimasta ad oggi in attuata.
Questo è il fatto, uno dei tanti che da più di vent’anni caratterizzano una regione che vive la forte rivalità tra serbi e albanesi, in nome di una regione contesa, provincia un tempo della Jugoslavia di Tito, che ne aveva assicurato l’unità nel segno della fratellanza. Qualcuno dice che la nascita di un’autonomia più marcata nel nord del Paese potrebbe creare una nuova Republika Srpska, con tutti i problemi che interessano l’unità di un altro Paese perennemente in bilico: la Bosnia Erzegovina. La paura che possa avanzare l’idea di una Grande Serbia, che inglobi non solo i territori della Republika Srpska, ma perlomeno anche il nord del Kosovo, anche se Belgrado mai si accontenterebbe di solo quella porzione di territorio, resta sempre viva nei Balcani e non a caso Milorad Dodik – presidente della Republika Srpska – era presente alla manifestazione del 26 maggio, affermando addirittura che la Grande Serbia sarebbe una fenomenale narrazione.
Manie di grandezza che appartengono anche al popolo albanese e a quel sogno di costituire una Grande Albania che potrebbe realizzarsi, secondo alcuni, con la cacciata definitiva dei serbi. Perché si resta allibiti nell’ascoltare le parole di alcuni manifestanti che non si fanno problemi nell’esporsi tanto sfacciatamente sulla questione della presenza serba nel Paese. Colpisce il fatto che questi due Paesi abbiano presentato la loro adesione all’Unione Europea. Il Kosovo dal 2022, mentre il cammino della Serbia è cominciato ben tredici anni fa e nella voce altri problemi /relazioni con il Kosovo si recita necessari ulteriori sforzi. Gli sforzi che l’UE reclama sembrano del tutto inutili perché la Serbia ritiene quel territorio parte della sua integrità territoriale, che da ventiquattro anni è stata violata.
Parlavamo di fatti, di accadimenti che hanno tutti origine in una data: 24 marzo 1999. Da quel giorno la situazione nella regione non è più la stessa e l’operazione illegale Allied Force, come è avvenuto nelle “missioni di pace” in Afghanistan e Iraq, ha probabilmente amplificato i problemi, di certo non li ha risolti, perché, come la storia insegna da sempre, gli errori commessi si pagano a caro prezzo. Ha rinforzato di certo il sentimento nazionalistico dei serbi, che rivendicano storicamente quella terra, laddove nel 1389 hanno combattuto contro le truppe ottomane, quella che sarebbe poi passata alla storia come la Battaglia dei Merli, e che hanno lasciato forzatamente nel 1999, anche se dal 1948 in poi la loro presenza ha cominciato a calare progressivamente.
Il Kosovo, da parte sua, resta uno stato pieno di incertezze, il cui percorso democratico fatica a decollare. Come detto, ha iniziato il suo iter per l’adesione all’Unione Europea, ma la stessa Bruxelles ha fatto notare che su tante voci Pristina disattende lo sviluppo democratico. A rendere ancora più ardua la situazione, è la presenza di stati dell’Unione, come Spagna, Slovacchia, Grecia, Romania e Cipro che non riconoscono lo Stato balcanico.
Certamente, come è avvenuto per il resto della Jugoslavia, è mancata la transizione dal regime di Tito che ha portato instabilità nel Paese e l’acuirsi dei sentimenti nazionalistici, scaturiti con la frammentazione del vecchio stato socialista. È vero che la situazione nei Balcani potrebbe creare un nuovo fronte nel cuore dell’Europa, ma non mancano le responsabilità della stessa Unione Europea che probabilmente non fa tanto per promuovere un percorso fecondo di pace, meno burocratico e più attento alle vere necessità dei Paesi, in particolare nei confronti della coriacea e inflessibile Serbia, amica storica di Mosca (Vučić assicura che non parla con Putin da un anno) e che al suo interno manifesta un euroscetticismo importante, confermato dai numeri dei sondaggi che dicono che il 44% non vuole l’adesione a Bruxelles (rapporto Ipsos). L’incertezza in politica internazionale è foriera di problematiche che esplodono nel medio termine. Pare che lasciare in sospeso alcune situazioni, vedi Bosnia, Kosovo e Ucraina, che diventano appetibili quando lo si ritiene necessario per i propri interessi, sia diventata l’attività principale che giocano i potenti della terra per eliminare competitor pericolosi per l’egemonia mondiale.