Prima di condannare alla gogna, avremmo bisogno di interrogarci su cosa vogliamo fondare l'idea di bene comune: perché se tutto è relativo, non ci sono valori da difendere.

Tutti vorrebbero una classe politica diversa: ma diversa da chi? Prima di condannare alla gogna, avremmo bisogno di interrogarci su cosa vogliamo fondare l’idea di bene comune: perché se tutto è relativo, non ci sono valori da difendere.

Le numerose segnalazioni di deterioramento e inquinamento che caratterizzano la ge­stione della politica, come la lottizzazione selvaggia e l’ampliarsi dei meccanismi perversi della burocrazia che non accennano a diminuire, ha sprigionato da alcuni decenni una vasta riflessione sulla questione etica. Di riscontro non sembra intravvedersi uno sforzo altrettanto valido per indivi­duare vie di uscita, che consentano di restituire alla politi­ca il suo originario significato di servizio alla colletti­vità.

La crisi etica della politica però, sostiene il teologo Giannino Piana, non è dovuta soltanto alla cattiva volontà delle persone che vi opera­no, ma, più radicalmente, alla mancata elaborazione di regole adeguate, capaci di in­terpretare le dinamiche del cambiamento sociale in atto.

Un primo dato da sottolineare al riguardo è il progressivo estendersi del campo della poli­tica, non più circoscrivibile all’area delle istituzioni tradi­zionali, ma aperta ad un intreccio articolato di influenze che, oltre a dilatarne lo spazio di azione, ren­dono sempre più problematica l’individuazione della sua specificità. La linea di de­mar­cazione tra il “sociale” e il “politico” ha subito costanti oscillazioni da rendere estremamente problemati­co fissarne con precisione i rispettivi campi di azione. In questo la politica appare sempre più come una dimensione che soggiace alla globalità degli eventi che concorrono a determinare il sen­so e gli orientamenti della vita collettiva.

Un secondo dato è rappresentato dal progressi­vo svuotamento etico della politica. Il processo di secolarizza­zione della politica ha avuto come conseguenza positiva l’acquisizione della sua laicità. La politi­ca è venuta in tal modo emanci­pandosi non solo dal sacro, ma dalla stessa sfera etica. La recente crisi delle ideologie ha contributo a mettere in luce la po­vertà etica della politica. L’assenza di riferimenti forti è coincisa con l’affermarsi di logiche utilitaristiche e funzio­nali in cui prevale la ricerca di soddisfazioni immediate dei bisogni e degli in­teressi soggettivi. La crisi dei valori assoluti svuota la politica di ideali, destituendola di fatto di valenza etica.

Purtroppo vige la convinzione subdola che nell’azione politica contano non i princìpi, ma le “grandi cose”; cioè la politi­ca è il luogo in cui si esplica la volontà di poten­za come ricerca del risultato o del successo, a prescindere dal rispetto dei valori morali. Si determina in tal modo una sorta di timo­re del danno che può venire alla politica e all’economia dall’intromissione dell’etica.

L’etica viene così rinchiusa nella co­scienza individuale, elaborando principi, secondo le varie correnti politiche, spesso asservite a lobby economiche, del tutto alternative e ra­dicalmente incompatibili rispetto a quelli riguardanti il privato. Ciò che viene svilup­pato è una sorta di “politeismo dei valori”, che vanifica la possibilità di disporre di criteri oggettivi, universalmente con­divisi.

Occorre però ripensare la politica come spazio di una feconda interazione tra il ”personale” e il “sociale”, cioè come ambito di attenzio­ne ad una pluralità di istanze, che deve essere ricomposta. Punto di ripartenza potrebbe essere “la tutela della vita”, per procedere poi progressivamente all’ac­quisizione di altri valori che concorrono all’umanizzazione della politica. Tale prin­cipio non può essere soltanto astrattamente proclamato, ma deve tradursi in regole e scelte precise, perché la politica, con la sua irrinunciabile funzione di sintesi delle aspet­tative individuali e collettive, non può essere il luogo della pura testimonianza, ma deve confrontarsi con i risultati.

Governare non presuppone rela­tivismo o agnosticismo etico; al contrario è riconosce­re che l’eticità della politica sta nell’ostinato impiego delle risorse e de­gli strumenti di cui si dispone per autocorreggersi. Una comunità si regge nella misura in cui è capace di tenere insieme i dissensi, piuttosto che trincerarsi poveramente tra i consensi prodotti, con­dannando alla gogna gli altri.


2 COMMENTI

  1. In merito all’articolo di Elia Ercolino:
    Non posso che condividerne integralmente i contenuti.
    Ma non riesco a condividere la speranza che la politica, questa politica, rigeneri se stessa recuperando le motivazioni sociali ed etiche che l’hanno partorita.
    La politica, nata nelle “polis” come spazio istituzionalizzato della dialettica, del confronto tra idee e visioni differenti, oggi rappresenta se stessa solo nei teatrini televisivi che hanno come unico, sicuro risultato l’assuefazione all’ urlo, all’insulto, alla dissimulazione, al sistematico occultamento dei fatti reali, alla negazione di principi affermati solo poco tempo prima.
    La politica, questa politica e, in particolare, la nostra politica, ha trasformato il luogo del confronto (o anche ,ove necessario, dello scontro) in un mercato dei mercenari, apparentati per programmazione delle terre di conquista, appena superficialmente perturbato da convulsioni giacobine di carattere movimentistico la cui ininfluenza sulle realtà oggettive, determinata da un eccesso di generalismo e di utopismo, isola e neutralizza le idee pur valide prospettate.
    Certo, si potrà dire che una analisi di questo tipo equivale a fare di tutta un’erba, un fascio.
    Sicuramente non e’ proprio cosi’.
    Ma e’ pur vero che le erbacce sono infestanti e nel momento stesso in cui vengono rimosse diffondono il loro seme.
    Ricordo un tempo in cui i partiti battevano valori come carta moneta.
    Oggi, a dirla tutta, rappresentano lobbies e gruppi di interesse, quando non siano ridotti a riserve di caccia del tutto personali.
    Come può l’etica essere reintrodotta in questo genoma mutante?
    Negli ultimi venti anni, circa, a mio avviso e’ stato alterato il profilo etico di questo paese con somministrazioni mediatiche che hanno, di fatto, omologato i vari ceti sociali e culturali, fatta eccezione per poche frange di ostinata resistenza.
    Una dittatura leggera e invisibile ma radicata nei nostri modelli comportamentali come un software parassita di cui non percepiamo la presenza.
    Come una batteria di polli di allevamento, questa società a volte mi appare come una serie di elementi ciascuno compartimentato nel proprio recinto, al cui interno, senza tanti interessi superiori, ha luogo l’esistenza e, spesso, la sopravvivenza.
    Testimoni indifferenti e assuefatti finanche di stragi umane troppo frequenti per sorprenderci e commuoverci ancora, deprivati della passione per ideologie ormai anacronistiche e senza riferimenti per nuove rotte.
    E se questa e’, in larga parte, la società e se la politica e’ comunque espressione della società, come può la politica produrre impulsi di progresso e di valori?
    Esiste un disaccoppiamento tangibile tra le radicali contrapposizioni partitiche esibite sugli scenari mediatici e la “calma” presente nel tessuto sociale, dove perfino le aree di emarginazione (escluso l’integralismo islamico) sono tutte intente ad inseguire il personale livello di benessere.
    Politica e società.
    Olimpo e area pedemontana.
    Chi sale all’olimpo cerca di restarci. A tutti i costi. Convertendo in gestione del consenso quello che dovrebbe essere spirito di servizio.
    Il patto sociale e’ rotto.
    Restano frammenti di difficile ricomposizione.
    Forse, il fallimento della democrazia.
    Soltanto una autentica, forte crisi generale può dare luogo ad un nuovo inizio.

    • È necessario che la rinascita non venga dall’esterno, attraverso “il giocatore straniero” assoldato e quindi acclamato dalla “squadra”, ma dall’interno: reinserendo “nel gioco” gli accantonati, gli esiliati e i condannati senza processo a loro insaputa dai nuovi barbari: arroganti di turno. È un processo mentale lungo e faticoso che può essere disatteso dalla fretta e dalla fobia dell’immediatezza dei risultati: il porsi in ascolto è il primo passo da compiere, non per una ricerca di proselitismo, ma quale umile “apprendistato” che fa grande la persona perché crea coin¬volgimenti preziosi e capaci.
      Se il dissenso non viene recepito come laboratorio di idee e progetti da valorizzare, allora si avrà sempre una “dittatura” camuffata da democrazia. Purtroppo i nostri leader, non solo politici…, si trincerano all’interno di un gruppetto di amici, che definisco “caudatari”, in cui ci si sente a proprio agio e questo diventa il loro luogo privilegiato di confronto: è questa la fine di ogni autorità!
      Per ricoprire il ruolo di leader non sono sufficienti i numeri elettorali delle preferenze, ma occorrono altri “numeri”: autorevolezza, capacità di analisi critiche, idee e de¬terminazione nel ricercare e costruire dialoghi per far rinascere e quindi valorizzare soprattutto le “ossa inaridite” di cui parla il profeta Ezechiele (37,1-10) immettendo energie nuove nella vita della comunità senza mercanteggiare ruoli e compiti. In questo contesto il tirarsi indietro, nonostante certi numeri, è segno di grande realismo, conoscenza di se stessi e rispetto verso la comunità: Benedetto XVI in¬segna!

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