«Dov’è Dio?» Wiesel: «Eccolo: è appeso lì, a quella forca»
Quello del Pipel, è forse l’episodio più celebre del breve e lancinante racconto di Elie Wiesel, La nuit (La notte).
L’azione si svolge a Buna, un campo di concentramento meno conosciuto ma non molto diverso dagli altri più “famigerati”: Auschwitz, Dachau, Birkenau, Treblinka.
In uno dei blocchi dove sono alloggiati i deportati, le SS trovano molte armi sotto la branda di «un bambino dal volto fine e bello» e di altri due reclusi. Per una settimana le SS interrogano e torturano il Kapò e il Pipel, senza ottenere alcuna informazione. Il primo viene trasferito ad Auschwitz, il secondo condannato a morte per impiccagione, insieme con i presunti complici.
L’esecuzione è uno show al quale tutti gli internati devono assistere. Gli adulti muoiono presto, non così il bambino assai meno pesante. «Più di mezz’ora restò così a lottare tra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi».
Quando Wiesel passa davanti al patibolo è ancora vivo. «La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti». Uno dei reclusi si chiede a voce alta: «Dov’è dunque Dio ?». Wiesel, sente dentro di se una voce che gli risponde: «Eccolo: è appeso lì, a quella forca».
Nessuno meglio di Hans Jonas ha saputo esprimere il senso filosofico di questa risposta devastante. Dio tace, dio non interviene, perché non può farlo. A Buna come ad Auschwitz, «Dio restò muto». Jonas non ripete la sentenza che per altre ragioni aveva pronunciato Nietzsche (Gott ist tot). Jonas non annuncia la morte di Dio; piuttosto spiega che l’olocausto ha menomato il concetto di Dio. Dopo Auschwitz «possiamo e dobbiamo affermare con estrema decisione che una Divinità onnipotente o è priva di bontà o è totalmente incomprensibile», un «mistero assoluto», come la misura del male banale e irriconoscibile inflitto al popolo ebraico, secondo la lucida e implacabile disanima di Hannah Arendt.
La stessa “fabbricazione di cadaveri nelle camere a gas o nei campi di sterminio” (Heidegger) del medico nazista, che per soddisfare il suo sadismo, operava gli internati senza anestesia. Il dr. Nehle, di cui racconta Friedrich Dürrenmatt, nel romanzo Il sospetto (1953). Un’altra testimonianza imprescindibile di quel gelo enorme e marmoreo che poco più di settant’anni fa attraversò l’universo.