“Fino a quando nelle nostre città la costruzione del Regno non sarà organizzata […] dai condannati alle piccole croci quotidiane, da chi vi rimane schiacciato sotto, da chi è ingiustamente spogliato di tutto come Cristo, da chi viene abbeverato con l’aceto e il fiele di una vita insostenibile, avremo sempre aurore senza mattino.
E i macigni continueranno a ostruire i nostri sepolcri, lasciandoci privi di una memoria spiritualmente eversiva.
Queste pagine sono dedicate a loro, pietre scartate dai costruttori che fanno le sorti della storia. Il loro anelito di vita muti in serbatoio di speranze questa allucinante vallate di tombe che è la terra”.
(Don Tonino Bello, “Pietre di scarto”, Introduzione)

Ho appena chiuso Pietre di scarto.
Era riposto nella mia libreria, in un angolino, tra Se questo è un uomo di Primo Levi e Mille splendidi soli di Khaled Hosseini.
Ho appena finito di leggerlo, è stata la prima volta per me, e sì, posso dire che quelle sessantatré pagine racchiudono alcune delle parole più belle che abbia mai letto in vita mia. Mi hanno lasciato dentro un qualcosa che non potevo tenere segretamente per me, nella mia mente, e che per questo ho deciso di mettere nero su bianco, per condividerlo con voi lettori.

Pietre di scarto è uno scritto di Don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, fondatore di “Mosaico di pace” e presidente nazionale di “Pax Christi”, ma, prima di tutto, grande uomo e grande persona.
È uno scritto che risale al “lontano” 1993, l’anno della sua morte, per cancro, eppure è gremito di un’attualità talmente forte che i ventidue anni passati da quel momento hanno la stessa durata di un giorno.

È una raccolta di sette brevi lettere, sette messaggi che Don Tonino ha voluto consegnare per diverse ragioni, in diversi modi, a sette categorie di persone tutte diverse fra loro, eppure simili: “pietre di scarto”, rifiuto indifferenziato, unità invisibili che, sottratte ai grandi numeri, non comportano una variazione sostanziale.

Le persone a cui rivolge le proprie parole sono “coloro che non contano niente, coloro che si sentono falliti, coloro che non trovano pace, i drop out, coloro che soffrono nel corpo, i giovani disoccupati e infine, chi non ha il coraggio di cambiare”.

Il sacerdote, nella lettera ai drop out, ai “caduti fuori”, offre un esempio tanto impressionante quanto rappresentativo: un carretto trainato in salita e colmo di arance. Ad ogni buca nel terreno, alcune di queste cadono, rotolando in discesa, sempre più giù, finché, già ammaccate, non verranno sfracellate del tutto da alcuni ragazzetti per divertirsi.

A una prima lettura queste parole mi hanno lasciato un senso di amara inquietudine. Fa davvero male pensare che una persona, una donna, un uomo, nato come ogni altro, con gli stessi diritti, con la stessa dignità fin dal momento del concepimento nel grembo materno, possa essere considerato spazzatura.

Spazzatura!

Come quella bottiglietta di plastica ormai vuota che viene schiacciata, perché non ingombri spazio nel cestino di casa. Come quei gusci di uova che, rotti e svuotati del loro prezioso contenuto, albume e tuorlo, vengono gettati assieme alle bucce e ai rimasugli dei nostri pranzi nei rifiuti umidi.

Un pensiero fulmineo mi è balenato: dai rifiuti nasce sempre qualcosa di nuovo e di bello. Sì, è proprio vero, perché dalla bottiglia di plastica potrà nascere una penna, una penna, davvero, una biro con cui si potranno scrivere messaggi di pace e di umanità. E dalle bucce e dagli avanzi umidi potrà nascere del fertilizzante, per dar vita a un fiore che vuole spuntare dal bocciolo nella terra o a delle verdure che daranno, a loro volta, nutrimento ed energia a molti.

E allora penso che è questa la redenzione di cui tanto il Vangelo parla, di cui Don Tonino si fa portavoce, di cui Cristo è assolutamente l’esempio: la speranza c’è per tutti, anche su questa terra. Quelle pietre di scarto vanno spietatamente a lapidare la nostra indifferenza, la mentalità umana che di umano non ha proprio nulla.

E quando saremo colpiti da questi sassi, colpiti fino a provare dolore, fino a lacrimare, alzando lo sguardo per trovare il colpevole, non guardiamoci attorno, ma dentro, affinché quei sassi marginali compiano davvero un miracolo: convertire all’umanità un uomo.


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Solo una cosa mi descrive perfettamente: un irrefrenabile istinto verso la scoperta e la conoscenza di me stesso, nelle situazioni e nei contesti. Le mie radici traggono quotidianamente nutrimento da Cristo, dalla musica e dal cielo, in qualunque sfumatura questo decida ogni giorno di mostrarsi a me. Un po’ come il Piccolo Principe di De Saint-Exupery, peregrino di pianeta in pianeta, scoprendo, vivendo, osservando, arricchendomi e mettendomi sempre in discussione. Il mio cuore, però, appartiene solo alla mia rosa. Ricerco e ascolto. Dove andrò? Non lo so…