Quel che la storia e la geografia documentano da Alessandro Magno in poi

Storicamente con il termine Europa dagli albori della civiltà classica si identificano le terre a nord della Grecia, mentre l’Europa in senso geografico – per convenzione – si estende in longitudine dall’Atlantico ai monti Urali.

Segno che la storia, la geografia e la cultura, da Alessandro Magno a Cirillo e Metodio, fino all’Arciduca Francesco Ferdinando, rendono effettivo quel senso di appartenenza che i popoli al di là dell’Adriatico sentono verso colei che viene considerata la Comunità di valori più grande e più riuscita di sempre. E alla cui porta, da molto tempo, bussano incessantemente.

Quando si parla di integrazione nell’Unione Europea dei Balcani occidentali i leader europei usano termini quali “orizzonte”, “prospettiva”, quasi a voler rimarcare il concetto per cui – pur in assenza di tempi certi – il destino ideale dell’Unione Europea sarà compiuto solo quando i paesi dei Balcani occidentali saranno parte dell’UE.

Non sappiamo quando questo avverrà. La strada per l’ingresso nell’Unione di Serbia, Montenegro, Albania e Macedonia del Nord – che hanno avviato in tempi diversi i negoziati di adesione – è tracciata, ma è impossibile prevedere dei tempi.

Più complesso e lontano è il percorso di adesione per Bosnia Erzegovina e Kosovo che – al momento – non rispettano i criteri di adesione e sono tecnicamente “potenziali candidati”.

Gli ostacoli che da anni abbandonano i paesi dei Balcani occidentali nel limbo dell’attesa di una prospettiva comunitaria certa sono noti.

Da un lato il timore di ripetere l’errore commesso con i paesi dell’Est europeo, accolti all’interno dell’Ue nel 2004 con troppa fretta e forse superficialità.

Dall’altro la prudenza di allargare ancora – a 29 e poi 31 membri – una macchina complessa come l’Unione Europea senza preliminari riforme strutturali dell’UE stessa.

Ma non solo. Parliamo di paesi in cui fino a pochi decenni vigeva un regime socialista e  in cui si è combattuta – appena 21 anni fa – l’ultima guerra nei confini europei, la cui memoria è ancora viva anche da questa parte dell’Adriatico.

Perso il Regno Unito, davanti all’emergere di pericolosi nazionalismi e sovranismi, la voglia di Europa dei giovani serbi, montenegrini, albanesi e macedoni, è linfa vitale per la nostra Unione. Le principali spinte all’integrazione difatti, provengono dalle giovani generazioni cresciute dopo la guerra, desiderose di vivere pienamente le possibilità di studio e lavoro che l’Unione Europea offre.

Aprire finalmente l’Unione ai Balcani occidentali servirà all’UE anche per questioni più pratiche e strategiche.

In primis, la sicurezza. Rendere pienamente comunitari questi paesi renderà l’Europa più sicura, più unita e forte nel controllo dei propri confini interni ed esterni, specie in chiave di lotta al terrorismo, di traffici illeciti e nel controllo della sempre calda rotta balcanica di migranti.

Integrare i Balcani occidentali nell’UE inoltre, servirà a sottrarre gli stessi da pericolose influenze russe, turche e cinesi.

Le procedure di adesione– per paesi con processi democratici ancora cosi fragili e in via di saldatura – sono lunghe e complesse.

La Serbia e il Montenegro, dopo aver aperto i negoziati di adesione rispettivamente nel 2014 e nel 2012 sono impegnati a recepire la legislazione europea nel loro territorio, a lavorare su imponenti riforme e, nel caso di Belgrado a risolvere spinose questioni interne, su tutte il riconoscimento del Kosovo.

Il 2025, anno ipotizzato da ambienti europei per l’ingresso dei due candidati, sembra al momento alquanto lontano.

Tralasciando Bosnia Erzegovina e Kosovo che – pur avendo avanzato richiesta di adesione non rispettano nessuno dei Criteri di Copenaghen e restano potenziali candidati – Albania e Macedonia del Nord hanno avviato i negoziati di adesione lo scorso marzo.

Un momento importante, atteso dai due candidati da due anni ormai, dopo che per ben due volte la Commissione Europea guidata da Junker aveva raccomandato al Consiglio Europeo di dare il via libera ai negoziati.

Sui dinieghi del Consiglio, per ben due volte, hanno pesato le contrarietà di alcuni membri e le difficoltà dei due paesi, soprattutto l’Albania, nel campo dell’indipendenza della magistratura e nella lotta alla corruzione.

Per quanto riguarda la Macedonia del Nord, che lo scorso marzo è diventata il trentesimo membro dell’Alleanza Atlantica, risolutiva è stata la volontà politica di risolvere la disputa con la Grecia sul nome del paese balcanico.

L’accordo di Prespa, firmato sull’omonimo lago nel 2018 tra Skopje e Atene ha posto fine a una diatriba lunga 27 anni ed ha inequivocabilmente rafforzato la prospettiva europea della Macedonia del Nord, considerando che a Bruxelles hanno sempre ritenuto imprescindibile un accordo con la Grecia prima di avviare i negoziati di adesione.

Un’attenzione particolare, e un approfondimento, merita la situazione dell’Albania.

Il paese delle aquile ha fatto richiesta di ingresso nell’Ue nel 2009, ottenendo lo status di candidato nel 2014, impegnandosi a lavorare per rispettare le 5 aree chiave per le riforme richieste dall’Unione.

Non è stato facile, specie per un paese piagato dalla criminalità organizzata, dalla corruzione e dai traffici illeciti che spesso coinvolgono le stesse istituzioni.

Ma fermare il vento europeista che soffia forte a Tirana è impossibile, soprattutto in un paese cosi vicino all’Italia, amico e principale sponsor dell’ingresso del paese nell’UE.

Solo 55 miglia marine separano l’Albania dall’Italia. Da Capo d’Otranto, nelle giornate terse, sono visibili i rilievi albanesi.

Una vicinanza non solo geografica e umana – se ricordiamo le vicende della nave Vlora del 1991 e le storie di integrazione di albanesi in Puglia – ma soprattutto culturale ed economica.

I rapporti tra albanesi e italiani sono intensissimi. Molti imprenditori – facilitati dalla poca burocrazia- hanno interessi economici in Albania.

I giovani albanesi, molti dei quali formati nelle Università italiane, vivono coltivando il mito dell’Unione Europea, allo stesso modo in cui i loro genitori hanno accarezzato il mito dell’Italia.

La passione e la voglia di integrazione dei giovani dei Balcani occidentali cresciuti dopo la guerra dimostra – al di là della crisi di valori che attraversa l’UE quanto questa Comunità sia vista ancora come speranza di benessere, pace e solidarietà.