La critica del testo letterario ‘incontra’ il testo sacro, dialogando con la teologia

Anche nelle non secondarie vicende del pensiero, le cui idee poi a dirla con Karl Popper accompagnano il cammino degli uomini con l’incunearsi nelle loro menti condizionandone la vita, non è stato facile liberarsi da secolari steccati che  a volte hanno impedito il dialogo costruttivo tra discipline e ambiti diversi del sapere col portare a posizioni normative e nello stesso tempo conflittuali; in tal modo non si è dato alla polifonia del reale e alle sue articolazioni interne il dovuto ascolto col perdere di vista quelli che Simone Weil chiamava ‘mille significati’ in esso impliciti, a cui ogni singolo sapere e le stesse pratiche di vita cercano di dare voce. Ma prima o poi le ragioni del reale si impongono e distruggono, dimostrandone  i limiti e a volta la  falsità, le riduttive impalcature concettuali pur faticosamente costruite  per farvi fronte con l’immettere sul terreno del pensiero la necessità di far dialogare costruttivamente i saperi  tra di loro, che poi si rivelano essere espressione delle diverse dimensioni veritative dell’esperienza umana; tale approccio tra l’altro si rivela salutare perché permette di disinfettare da una parte i singoli saperi dai loro a volte inevitabili assolutismi che storicamente spesso li hanno caratterizzati (La complessità come disinfettante, 27 agosto 2020) e dall’altra nello stesso tempo di coglierne la specificità e l’indispensabilità in quanto vengono a mettere sul tappeto questioni cruciali per l’uomo ed il suo destino di essere pensante.

Sotto la spinta del pensiero complesso che sia a pure a fatica sta entrando nelle  diverse  pieghe dei singoli saperi con l’aprirne orizzonti inediti sul piano sia concettuale che esistenziale, da più parti sta emergendo la necessità di farli dialogare attraverso una pratica ermeneutica che si rivela essere quasi un innesto degli uni sugli altri da portare a quello che è stato chiamato recentemente da Luciano Boi ‘elogio dell’intreccio’; e questo non certo per verificarne  la fondatezza quanto per vedere come dal  loro confronto critico possano svilupparsi ulteriori prospettive con benefici di vario tipo nel dare voce ai molteplici aspetti del contemporaneo, anche se questo tipo di engagement richiede competenze di base  o quanto meno delle fonti comuni di Siloe a cui abbeverarsi. Ed è ciò che caratterizza, ad esempio, la recente collana ‘Teologia in dialogo’, espressione della Facoltà Teologica Pugliese  e dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Lecce, diretta da figure impegnate rispettivamente in campo teologico, filosofico e letterario come Luigi Manca, Igor Agostini e Carlo A. Augieri, per le Edizioni Milella, con l’obiettivo di contribuire a quella ‘rivoluzione culturale’ di cui parla Papa Francesco nella Laudato si’  (vedasi il fascicolo di Idee, n. 17-18, 2019) insieme ad altre iniziative orientate alla ‘riforma del pensiero’ come ad esempio quella esposta nel Manifesto. Per una ontologia trinitaria (Per una ragione agapica: il dono del Manifesto, 21 luglio 2022).

In tale collana ha preso piede un significativo lavoro di Carlo Aberto Augieri, Modi di Lettura e risposte d’Identità. Comprendere Credere Conoscersi (Lecce, Ed. Milella 2022), lavoro che induce a interrogarci sulla funzione della letteratura e della lettura per la loro  capacità di produrre “un evento di  autocoscienza” e di presentarsi “come forme riscriventi nella coscienza l‘aperto di altre possibilità”, di essere “metafora della vita autocosciente” dove l’io si trova “entro un ‘in-venire, un venire, trovarsi insieme in incontro ed in dialogo”. Ma questo risultato viene ottenuto  attraverso un continuo e non comune confronto critico con quella particolare e intensissima fonte di Siloe che  è il testo biblico, ritenuto il grande codice della letteratura occidentale da cui attingere  in quanto in esso si assiste a quello strutturale e fondamentale passaggio dalla relazione metaforica e analogica  a quella metonimica; tale processo è ritenuto da Carlo A. Augieri, grazie ai suoi precedenti studi sul ruolo del simbolo,  la base costruttiva e costitutiva della stessa composizione scritturale le cui poste in gioco si misurano in funzione proprio della capacità di trasferire il significato di una parola all’altra, di tradurla in “modi del fare” incontrare “due forme di spiritualità”, il mondo dell’autore con quello del “personaggio-lettore” che prosegue “altrove con altra scrittura”.

Tale percorso viene arricchito poi dalle prospettive aperte dalla cosiddetta linguistica enunciativa i cui cardini non a caso vengono già intravisti  nella  Genesi,  dove  la stessa creazione è considerata un vero e proprio “atto enunciativo” e come ‘evento di verità’, nel senso di Alain Badiou pensatore francese che tra le altre cose ci ha fornito una particolare  lettura del messaggio paolino (San Paolo. La fondazione dell’universalismo, 1997), evidenzia “l’identità autoriale ed illocutiva del Dio biblico”. Carlo A. Augieri, in modo autonomo con l’interrogare  sulla scia di Proust  le pieghe più nascoste del dono della lettura per l’intrinseca capacità di “alimentare nuova scrittura”,  perviene per vie non strettamente teologiche a vedere nella creazione un processo identico a quello presente nella dimensione “grammaticale della significazione”, dove la parola ha “in sé un segno relazionale”, col rimandare ad una “terza presenza significante” che non è “somma aggiuntiva dei due vocaboli tra loro in relazione”; in tal modo, attraverso poi una non comune lettura del dialogo tra Dio e Mosè e di altre figure del mondo cristiano,  emerge in tutta la sua cogenza  che il “Dio della Bibbia non è un Soggetto monoteistico, bensì trinitario” e di “natura triadica, che ha come poli di coinvolgimento il tu enunciativo divino, la voce di Dio, e l’uomo come fruitore allocutivo”, aspetto questo  centrale nella cosiddetta ontologia trinitaria avanzata negli anni ‘70 dal teologo Klaus Hemmerle ed ora a base del recente ‘Dizionario Dinamico di Ontologia Trinitaria’, collana diretta da Piero Coda.

Carlo A. Augieri poi, con prendere in carico i contributi di Bachtin relativi ai rapporti tra autore e personaggio, prosegue il suo lavoro vedendo nel Libro di Giobbe  l’inizio di “una nuova ermeneutica narrativa”, un modo non “mitologico di significazione narrativa” dove il personaggio ha già una chiara coscienza del male subìto e nel porre delle domande non si accontenta delle risposte date dalla tradizione sino ad interrogare e provocare “l’autore divino, a cui chiedere nel ‘mentre’ il sentire del pathos le ragioni del suo patire da innocente”; la stessa forma narrativa del “”lamento-rivolta di Giobbe”, la sua “coscienza interrogante”  rende lo stesso Dio un “uditore” con cui parlare “alla pari” per essere ascoltato. Ed in tal modo il lamento viene visto come “diritto alla critica, maturazione di una nuova visione ermeneutica” dove vengono a giocare un ruolo primario  alcuni “verbi di conoscenza” come “vedere, misurare, scrutare e stabilire” ed un “agire geometrico”  da parte di Dio con  spogliarlo  della sua “onnipotenza-forza”; in tal modo lo si scopre come  un “Tu enunciativo ‘dicente’, vero e proprio “Spirito di sapienza” sapienza che “non è creata da Dio” stesso ma riconosciuta come tale “nel momento in cui scruta e osserva, misura e determina i confini e le relazioni tra le cose”.

Non poteva Carlo A. Augieri esimersi dall’analisi del “come” parlava Gesù, che nell’essere un “personaggio compiente la parola d’Autore” mette in atto un “vocabolario differente dalla lingua comune del suo tempo… da costituire un paradigma carsico che scorre  pure nel sottosuolo delle mentalità laiche e delle tipologia culturali non cristiane” tale da essere giudicato talmente pericoloso da causare la sua morte”; quella che viene definita  vera e propria “rivoluzione del linguaggio di Gesù” è il risultato del fatto che il suo messaggio mette in atto “una logica senza frontiere”, “l’oltrepassamento dei confini”, l’incontro sistematico con “l’alterità senza confine, incontro dialogico con l’identità dell’altro”, dove  risulta “il mio ‘io’ come suo altro”. Ma a “fondamento di tale rivoluzione discorsiva” è quella che viene chiamata “relazione logica di somiglianza” che permette all’ascoltatore-uomo di “parlare diversamente di sé, dell’altro, del mondo, dello stesso divino” che in tal modo perde la dimensione dell’essere “la maestà dissimile e verticale dell’’alto dei cieli’”. Nel linguaggio dei Vangeli  si mette in atto quel processo di “destrutturazione della dissomiglianza” che permette di fare emergere  con tutta la sua forza propositiva “la logica del simile”; e Augieri ci dà i giusti strumenti ermeneutici per entrare nella  somiglianza scritturale e nella “morfologia semantica della somiglianza discorsiva di Gesù”, processo che permette di comprendere meglio i livelli di “dislocazione temporale” rispetto al passato biblico e allo stesso futuro. In tal modo emerge quella che viene chiamata molto significativamente “una teologia della somiglianza con cui ‘parabolare’ la storia” ritenuta, come nel pensiero complesso avanzato da Mauro Ceruti, strategica per un “umanesimo mondiale senza frontiere” e portatrice sulla scia di Hans Küng di una ‘spiritualità che unifica e non divide’.

Si rivela, altresì, oltremodo originale l’approccio con Le confessioni di Agostino, ritenute un “romanzo  di formazione comprendente e come narrazione di peregrinazione intertestuale”; poi con l’essere espressione di una ‘mente vagabonda’,  si arriva ad “una coscienza interpretante” o meglio ad un “evento ermeneutico dialogico”,  dove la  continua pratica del leggere porta con sé  la possibilità di “conoscersi con parole in funzione d’Autore” e si è in presenza come “cammino di lettura” di una “lotta continua” col lettore a cui ci si confessa. Si è al contempo  come autore “creatore del senso del testo, ma anche autore nella coscienza del lettore” dove il continuo parlare di sé come diverso rispetto al proprio io porta il lettore stesso a riconoscersi come “persona interpretante all’interno del suo rapporto con lo scrittore” con la intrinseca possibilità di “reclamare un supplemento di senso nel testo”;  emerge così in tutta la sua valenza, sulla scia dell’ermeneutica semantica di Bachtin, quella “correlazione di personalità” o “correlazione di soggettività” che porta all’interrelazione dialogica “con l’alterità della coscienza  nella funzione d’autore con cui comprendere e comprendersi”.

Lo stile narrativo di Agostino si libera della “semantica sostanzialista e della sintassi nominale” proprie della scrittura aristotelica e si presenta come ”figurale” in quanto espressione autentica dell’esistere, del sapere e del volere da parte dell’io e del loro nesso inscindibile; in questo processo emerge  “la trinità intrinseca dell’io in relazione strettamente analogica nientemeno con la Trinità divina da essere tre in ognuna”. Tale dimensione triadica poi permette di creare le “condizioni indispensabili per dare all’azione un saper fare e pure un’intenzione, un volere che motiva l’agire”; e  non a caso Carlo A. Augieri vede nel percorso agostiniano delle “conseguenze epistemologiche a favore di una poetica della narratività” dove viene a configurarsi un “modello d’esistenza autonoma per quanto riguarda il rapporto stretto tra soggetto e verbo d’azione” indirizzato a “raggiungere un fine” dove le stesse “tre qualità verbali dell’essere come ‘inscindibili’ del conoscere e del volere sono simili in Dio-Trinità e nell’uomo”.

Carlo A. Augieri, in modo autonomo e grazie al non comune bagaglio ermeneutico accumulato negli studi precedenti di critica letteraria sempre arricchita da più sollecitazioni provenienti da mondi diversi e ben metabolizzate come quello russo con Bachtin e quello francese con Bachelard, Barthes, Genette, Benveniste, Foucault e Derrida figure che si sono interrogate sulla relazione tra autore, personaggio e scrittore,  ha saputo far dialogare in modo costruttivo letteratura e sapere teologico con farne emergere le diverse potenzialità che vengono ad arricchire il nostro patrimonio conoscitivo ed esistenziale insieme. Nello stesso tempo, Modi di Lettura e risposte d’Identità può essere considerato un umile ma significativo contributo specifico a quel pensiero che, sulla scia del Manifesto. Per una riforma del pensiero, si potrebbe chiamare vero e proprio ‘pensiero trinitario’;  i sentieri aperti da tale prospettiva, pur trovandosi nelle ‘viscere del cristianesimo’ come scrivono Piero Coda e  Massimo Donà col riprendere l’espressione di Antonio Rosmini, possono essere una risorsa per l’oggi  per tutti, e non solo per teologi,  per le sfide globali che ci attendono  nel gettare le basi di una ‘intelligenza trinitaria dell’essere’ più in grado di  ‘esperire il mondo in quanto tale’ al di là dei riduzionismi e delle logiche binarie che hanno contraddistinto una certa modernità.


FontePhotocredits: Photo by Priscilla Du Preez on Unsplash
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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.