Non sempre “Ognuno ha quel che si merita”
Nel riconoscere le proprie “miserie” si deve tener conto di quelle altrui e non certo per compararle e se ne aggrada qualora quelle dell’altro tocchino la “disperazione”. Non si tratta citare il detto che “Ognuno ha quel che si merita” poiché non sempre uno, i guai se li cerca: arrivano e basta. Ah, quanti ne arrivano! Mentre se ne sana uno ne arrivano degli altri, a non finire… e come quando si ammazza una mosca molestatrice e ne arrivano altre…per il funerale…
Totò avrebbe detto che ogni limite ha una pazienza, cosciente del fatto che cangiando l’ordine dei fattori il prodotto rimane inalterato. Ma riferito alla matematica e non certo all’ordine delle voci che compongono una frase. In questo caso uno può passare per sconclusionato, incoerente, illogico.
Oggi ci sono diversi “comici” che si affacciano alla finestra dei nostri media e si mettono a sgrammaticare, al solo scopo di far ridere. Questo porta pericolosamente a disamorare la nostra lingua che è una delle migliori, per armonie e assonanze.
E poi, chi assiste a certi spettacoli e non comprende la comica, a modo suo, ahimè, non apprende le trasgressioni linguistiche e ne fa uso proprio, come non dovrebbe. Il gioco di parole va bene quando i sottintesi hanno un filo logico che li lega al doppio senso, alle velate allusioni, alle metafore, alle figure retoriche, sempreché si rispetti l’etica grammaticale e sintattica da non stravolgere, appunto, la bellezza della nostra lingua.
Non fare come i tanti attori che a furia di incerottarsi la faccia con creme e additivi vari, a lungo termine, se una bellezza l’hanno avuta, finiscono per perderla. Acquisire comportamenti errati, pur se arrivano da finzioni di qualunque tipo, oltre la risata del momento, non offre un bagaglio che si possa chiamare “cultura” da trasmettere alle nuove generazioni.
Oggigiorno sembra che ci si levi dal letto già stanchi tanto da ordinare la colazione al bar sotto casa, per mezzo del telefonino.
Ah, il telefonino! Quale strumento innovativo sia stato, ed è ancora, se non fosse per i tanti modi “strani” di usarlo. Attraverso le molteplici applicazioni si può pure essere a Napoli e accendere i caloriferi di casa a Milano: basta un nonnulla. Un miracolo, una magia oppure un ritrovato scientifico per alleggerire quello che già non si fa? Allo stesso modo di quel tizio che, per scommessa, mentre si trovava sul treno con degli amici, si era detto bravissimo a fermarlo con una mano, anzi con un dito. Vinse la scommessa ma fu scoperto e arrestato perché aveva azionato la manetta di emergenza, con un solo dito appunto, senza averne motivato la necessità al capotreno infuriato. E che dire dei copia e incolla, dove si crede di dire tutto prendendo a prestito immagini e parole da un “contenitore” virtuale, riempito da chi si è scomodato a farlo a scopo di lucro?
Qui si va verso l’ignavia totale, una forma radicale di accidia, dove manca qualcuno che ci mastica il cibo da ingoiare: lo facevano le nostre mamme con i primi cibi solidi, dopo il latte materno succhiato dalle loro poppe e del pan cotto che ci preparavano, con un filo di olio d’oliva vergine.
Oggi ci sono dei latti in polvere, da sciogliere, mettere nella bottiglietta col ciucciotto. Ci sono dei preparati omogeneizzati di chissà quale natura, forse a base di pollo allevato in batteria e gonfiato di ormoni. Così facendo i problemi vengono risolti senza “perdere tempo”: a farsi succhiare le tette, che è pure un danno per la puerpera a non sottoporsi, o mettersi davanti ai fornelli…
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, naturalmente sotto gli occhi di chi riesce ancora a “vedere”, tra le righe e con raziocinio, e non di chi si affida agli scoop pubblicitari, ad occhi chiusi e senza padronanza di sé, pur di sbrigarsela.
I genitori consapevoli, vecchia maniera, per mandare noi figli a scuola ci munivano di uno o due libri, penna col famoso pennino, (l’inchiostro era nel calamaio posto sul banco con quale c’imbrattavamo pure la faccia) e quaderni: uno a righe e l’altro a quadretti. Oggi è tutto griffato, dal diario scolastico alle altre tante, inutili diavolerie; il tutto da rendere lo zainetto talmente pesante che fa camminare i ragazzi con un’andatura asimmetrica e quasi da lavoro forzato, dove il peso supera la metà di quello di chi lo trasporta. Ma lo chiamano zainetto anziché zaino, per non dargli il “valore” che si merita. Non consideriamo che, i nostri figli che vanno a scuola non sono ancora dei veri alpini o dei provetti, cresciuti boy scout (Branca Rover e Scolte (R/S, 16-21 anni). Per i genitori sembra che l’intelligenza dei loro marmocchi debba arrivare dal peso dei libri che si portano a scuola. Non certo dalle esposizioni delle materie che fa l’insegnante e a cui bisogna pendere, in silenzio, dalle labbra per quel che dice. Sono queste le nostre moderne miserie a cui non possiamo porre rimedi se non essere impregnati di quelle vere… le miserie che si riscontrano in molte famiglie, dove manca il necessario da porre sulla mensa e pur senza la caterva di tutta quella biblioteca cartacea da portarsi nello “zainetto” riescono, tra gli stenti, a mandare i figli a scuola con decenza e ad ottenere, per alcuni, risultati sorprendenti in fatto di istruzione.
«La povertà non è un vizio; ma la miseria, la miseria è vizio. Nella povertà voi conservate ancora la nobiltà dei vostri sentimenti innati; nella miseria, invece, nessuno mai la conserva» (Fëdor Dostoevskij).