
Pellegrini “diversi”, in Terrasanta
Chi non conosce la parabola del Buon Samaritano? Lo si potrebbe definire un pellegrino “diverso” dagli altri per non pochi motivi. Non tanto, come si sa, perché i samaritani erano considerati eretici e al di fuori dell’ortodossia, quanto piuttosto per il fatto che il Buon Samaritano è stato capace di guardare dove gli altri di solito non guardano, perché girano la testa dall’altra parte.
In effetti, “diverso” deriva proprio dal verbo latino “deverto”, che può essere tradotto con “volgere la testa dalla parte opposta”. Dipende però da cosa si intenda per “parte giusta” o “ortodossa” e cosa invece no.
Per i partecipanti al pellegrinaggio della diocesi di Andria in Terrasanta, dal 22 al 29 agosto scorso, il Buon Samaritano è stato appunto il modello del pellegrino autentico, cioè di colui che visita i luoghi santi di Nazareth, Betlemme, Gerusalemme (e così via, attraversando tutta la Galilea, la Samaria e la Giudea…) per conoscere e venerare sì le pietre che sono state calpestate da Gesù di Nazareth, ma anche, e in un certo senso soprattutto, per conoscere le pietre e le spine vive di Terrasanta, vittime della (pre)occupazione israeliana in Cisgiordania: come i bambini della “scuola di gomme” dei beduini Jahallin,
nel deserto di Giuda, o quelli orfani e disabili della Hogar Niño Dios, a Betlemme, o ancora quelli amorevolmente curati nel Caritas Baby Hospital,
ancora a Betlemme, l’unico ospedale pediatrico di tutta la Palestina.
Sì, i pellegrini diversi hanno scelto di attraversare i luoghi santi guardando dove di solito altri non guardano: per esempio, visitando i campi profughi di Dheisheh e Aida o alzandosi al mattino alle 4 per andare a toccare con le proprie mani e vedere con i propri occhi quello che deve fare, ogni giorno, anzi ogni notte, un operaio palestinese per superare il muro di apartheid e recarsi al lavoro a Gerusalemme.
È lo stesso Muro che i pellegrini diversi han cercato di abbattere a colpi di Ave Maria, è ancor più il Muro che hanno provato a superare lanciando ponti di dialogo tra musulmani, ebrei e cristiani, tra israeliani e palestinesi. Innumerevoli gli incontri e i testimoni ascoltati: abuna Elias Tabban, arabo, cristiano e israeliano, parroco di Jaffa di Galilea, rabbi Jeremy Milgrom, rabbino per i diritti umani, con duplice passaporto israeliano e statunitense, abu Kamis, arabo e beduino, capo del villaggio beduino di Khan al Ahmar, suor Annamaria Sgaramella, missionaria comboniana andriese che vive a Gerusalemme Est, suor Donatella Lessio, caposala al Caritas Baby Hospital, Madre Maria Pia e Suor Gesù, della Hogar “Niño Dios”,
mons. William Shomali, palestinese, vescovo ausiliare del Patriarcato Latino di Gerusalemme,
abuna Iyad Twal, anche lui arabo, direttore generale delle scuole del Patriarcato Latino di Gerusalemme, Daniela Yoel, ebrea osservante e cittadina israeliana di prima generazione, militante di “Machsom Watch”, Aysar al Saifi, musulmano, del centro culturale “Ibdaa”, nel campo profughi di Dheisheh, e Monther Amera, responsabile del centro giovanile nel campo profughi di Aida, sempre a Betlemme.
Guidati dal Vicario Generale don Gianni Massaro e da don Vincenzo Giannelli, responsabile del pellegrinaggio, grazie all’impeccabile organizzazione tecnica dell’Unitalsi, presenti don Sabino Troia e Domenico Sinisi, rispettivamente vice-assistente e dipendente dell’Unitalsi regionale pugliese, ai 57 pellegrini “diversi” è parso così di centrare quello che era l’obbiettivo dichiarato: sigillare l’anno giubilare straordinario della Sacra Spina, venerata nella Cattedrale di Andria e il cui prodigio si è rinnovato lo scorso 25 marzo, con un’esperienza di reale condivisione delle sofferenze dei cristiani (e non) palestinesi di Terrasanta.
Un sacerdote e un levita viaggiavano da Gerusalemme a Gerico: uscivano dalla città di Dio e scendevano verso la città dell’uomo, eppure non seppero guardare le sofferenze di un povero cristo spogliato di tutto, derubato dei suoi diritti e abbandonato mezzo morto per strada. Solo un eretico, un eterodosso, lo vide e ne ebbe compassione. Si fermò, lo curò, se ne fece carico, si compromise: ecco perché quel povero Cristo ha tutto il diritto di proporsi come il modello autentico di ogni pellegrino diverso.
Tra i tanti desideri di una vita ,che si sono realizzati in questo mio pellegrinaggio in terra santa, voglio segnalare quello di conoscere persone diverse; non immaginavo però di incontrare una persona tanto desiderosa di conoscenza, verità e amore, come PAOLO FARINA :grazie, Paolo, e auguri:
TERESA GRAVINA
Che dire? Grazie a te, Teresa. Troppo buona
Grazie Paolo per il reportage completo e documentato sul pellegrinaggio in Terra Santa.Ho potuto rivivere le emozioni già provate in un altro viaggio da te organizzato qualche anno fa, ospiti di famiglie palestinesi di cui abbiamo condiviso pene e speranze e di cui siamo diventati amici.Grazie e continua così.
Grazie, Riccardo, l’incoraggiamento di persone buone come te fa sempre bene…
Grazie ,perchè questo pellegrinaggio ci ha ridonato la vista siamo riusciti ha liberarci da quelle lenti che vedevano solo dalla direzione del benessere, del successo e del potere ,solo oggi possiamo provare ad essere anche cittadini andriesi diversi , con uno sguardo verso chi ha bisogno.
Grazie Paolo
Caro Paolo, grazie per l’articolo che ci ha fatto rivivere il pellegrinaggio in Terra Santa nella terra di nostro Signore Gesù Cristo attualizzato sulle spine che tanti nostri fratelli subiscono oggi. Grazie perché ci hai aiutato a vivere un pellegrinaggio che ha saputo tenere insieme spiritualità e realtà difficili con i bellissimi incontri da te citati nell’articolo. RICCARDO Del Mastro e famiglia
Grazie a voi, Riccardo, Dora, Raffaele, Teresa, … in realtà esperienze come queste si possono fare solo se ci sono persone che, come voi, si fidano e si affidano… Perciò, ancora grazie a voi e a tutti gli altri “pellegrini diversi” di oggi, di ieri e … di domani!