Uno stile di vita, una “vocazione mediterranea”
A volte può succedere che una strategica idea come quella di complessità, venuta a maturazione nella seconda metà del secolo scorso dopo alterne vicende in diversi ambiti filosofico-scientifici sino a produrre veri e propri programmi di ricerca col cambiare in maniera irreversibile modi di pensare e nello stesso tempo di vivere per le scelte concrete che obbliga a mettere in atto, venga percepita in un contesto diverso già con un non comune senso epistemico in un percorso come quello di Paul Valéry (1871-1945). Tale figura di scrittore-pensatore dalle ‘multiformi possibilità’, come Jorge Luis Borges l’ha definita, è in questi ultimi anni al centro di un rinnovato interesse per la miniera di idee prodotte che vanno ben al di là del solo campo letterario; ed è stata tenuta presente anche non a caso da uno scienziato come Ilya Prigogine (1917-2003), Premio Nobel per la Chimica nel 1977 per le teorie sulle strutture dissipative ed i sistemi complessi, per l’attualità riscontrata nelle sue analisi sul tempo, quasi contemporanee di quelle condotte da Henri Bergson e Gaston Bachelard nel loro incontro-scontro con le teorie relativistiche.
Ma per capire come essa idea di complessità sia stata declinata da tale singolare figura del panorama culturale e letterario francese, è necessario innanzitutto tenere presente il fatto che insieme a Émile Zola e a Michel Proust, come risulta da recenti studi fatti in Italia da parte di Gaspare Polizzi, si è confrontato in maniera costante con quel mondo delle scienze attraversato, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, da quella che già Friedrich Nietzsche considerava vero e proprio ‘terremoto dei concetti’ poi resi più evidenti dall’avvento delle teorie relativistiche e quantistiche e bisognosi di ben altri strumenti concettuali. Tutto ciò è indice del fatto che diverse e a volte nascoste sono le ‘vie’ che portano al pensiero complesso per usare una significativa espressione di Edgar Morin, presente nell’ormai classico e più volte ristampato volume del 1985 La sfida della complessità, curato da Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti.
Per cogliere meglio il senso di alcune prese di posizione di Valéry e le modalità con le quali abbia dato valore strategico alla complessità e l’abbia soprattutto metabolizzata a livello concettuale, a differenza di alcuni filoni del pensiero filosofico della sua epoca e poi diventati egemoni come nel caso italiano, è da tenere presente, come risulta dai suoi Cahiers che hanno accompagnato l’intero suo percorso letterario dagli anni ’90 dell’Ottocento sino agli anni ’30 del Novecento, il fatto non secondario del suo costante confronto con quella figura poliedrica che è stato il nostro Leonardo da Vinci; non è dunque un caso che abbia prima intitolato un suo scritto Introduction à la méthode de Léonard, testo scritto nel 1894 e poi più volte oggetto di ulteriori rivisitazioni, dove emerge una visione della scienza decisamente postpositivistica come un sistema ouvert. Quasi sulla scia di un altro poeta francese Jaques Delille che, nel 1808 in Les règnes de la nature, considerava l’abbate Lazzaro Spallanzani il suo Virgilio che lo aiutava a scoprire e a celebrare la varietà delle forme di vita, così Valéry ha trovato in Leonardo e in quella che chiama logique imaginative, operante nel suo variegato percorso, degli strumenti concettuali in grado di leggere la complessità crescente del pensiero matematico sino a permettergli di confrontarsi con l’Analysis situs di Henri Poincaré e i risultati di fisici come Faraday e Maxwell, come in seguito con le prime formulazioni della meccanica quantistica.
L’analisi della logique imaginative operante in diversi scienziati con le sue leggi dinamiche permette a Valéry di arrivare ad una visione costruttivistica della conoscenza scientifica e soprattutto, attraverso lo studio delle generalità matematiche e del loro avanzare come nel caso della topologia astratta dell’iperspazio e del continuo, arriva a parlare di ‘incremento della complessità’ e di ‘gradualità della complessità’ abbinate, come sarà ribadito più volte, con quello contestuale dell’imprecisione di ogni metodo della conoscenza: “Pensare consiste nel congetturare la storia di questa gradualità della complessità”. Le matematiche mettono in atto, come dirà Gaston Bachelard successivamente quasi con le stesse parole, una “pratica di pensiero nel costruire dei progetti teorici” grazie ai processi di astrazione e di continua generalizzazione. Leonardo prima e Poincaré dopo con i suoi diversi scritti sul ‘valore della scienza’ diventano per Valéry scrittore punti di riferimento per delineare la sua ‘via’ alla complessità; ma a queste figure si deve aggiungere un’altra figura di matematico e nello stesso tempo epistemologo, quella dell’italiano Federigo Enriques (1871-1946) con il quale condividerà delle ‘eresie’, come le chiamerà nel 1934 sempre nei Cahiers, grazie anche a dei rapporti personali avvenuti negli anni ’20 all’interno del neonato Institut International de Coopération Intellectuelle, sorto per volontà della Società delle Nazioni per contribuire a creare una ‘casa comune’ tra uomini di cultura europei dopo le lacerazioni provocate dal primo conflitto mondiale.
Pensare attraverso le matematiche col tenere metodologicamente presente la loro storia concettuale, come stava facendo Enriques, era già una ‘eresia’ nei primi anni del Novecento e arrivare poi a vedervi un incremento progressivo di complessità ed una sua gradualità era pertanto un ulteriore livello di ‘eresia’ rispetto al pensiero dominante dell’epoca che oscillava da posizioni-tipo ‘filosofia del come se’ di stampo puramente nominalistico a posizioni di ‘reazione idealistica contro la scienza’ come le chiamerà Antonio Aliotta nel 1912. Ma per Valéry già sul finire dell’Ottocento il mondo della scienza, grazie ai contributi di Poincaré e al senso epistemico assegnato ai suoi esperimenti negativi e di altri che si avviavano a tracciarne nuovi binari, era pervenuto ad una altra ben consistente ‘eresia’ sul piano del pensiero più in generale; ogni nuova forma di pensiero, resosi necessario in seguito ai cambiamenti scientifici in atto, doveva incorporare nelle sue strutture categoriali un pluralismo di fondo col mettere fine ai sogni ‘dogmatici’, alle prese di posizione unilaterali e alle logiche assolutiste e infantili del pensiero ad una dimensione basato sulle ‘idee semplici’: “le rêveries sostanzialiste e quelle delle spiegazioni dogmatiche stanno sparendo, e la scienza nel formarsi ipotesi, nomi, modelli si libera dalle teorie preconcette e dall’idolo delle idee semplici”.
Con un linguaggio che sembra ante litteram essere preso dai teorici della complessità più recenti, come Edgar Morin e Mauro Ceruti, Valéry arrivò a dire nel 1894: “la complessità è l’imprevedibile essenziale”, idea scaturitagli dal suo non comune approccio a Leonardo; il suo ‘metodo’ era ritenuto consistere nell’immaginare una serie di mondi possibili in grado di dar conto delle ‘infinite ragioni del reale’ grazie al ‘frutto matematico’ che lo ‘speculatore delle cose’ disegnava grazie alla ‘mente sua’, come si afferma in un famoso scritto, poco tenuto in considerazione dai filosofi della scienza ma tenuto presente in tutta la sua pregnanza epistemica dallo scrittore francese. Ma tutto questo viene potenziato dalla sua lettura che senza esagerazione si può definire magistrale della topologia e dei contributi dati da Poincaré alla teoria del caos con i suoi esiti indeterministici, per avervi intravisto i germi di un pensiero pluriarticolato e definitivamente libero dall’’idolo delle idee semplici’; Valéry ha avvertito più di altri i limiti e i pericoli non solo di natura teorica insiti in un pensiero basato su tali processi di semplificazione, pensiero che per lungo tempo ha dominato la scena dei dibattiti filosofico-scientifici, col ritardare di fatto l’emergenza di quella pur necessaria ‘epistemologia non-cartesiana’, così come fu delineata da Gaston Bachelard negli anni ’30 ed emersa poi in tutta la sua cogenza teoretica nelle pieghe dell’epistemologia della complessità.
Ma in più Valéry ha fatto della complessità uno stile di vita che non è solo ravvisabile ad una lettura più in profondità nella pur cospicua produzione letteraria, ma nella stessa intera attività di uomo pubblico e politico con la sua vocazione ‘mediterranea’ aperta al dialogo con le diverse culture, considerate foriere di ulteriori ‘possibilità’ da esplorare senza rinchiudersi in presunte barriere e anche per superare la crisi dell’uomo moderno, crisi che trova le sue radici in primis nei processi di semplificazione messi in atto per loro natura ideologici; è stato un pensatore tout court, come ha dimostrato Gaspare Polizzi nei suoi diversi scritti, teso a gettare le basi di una razionalità allargata, di una raison mélangée dove ogni conoscenza ed esperienza di vita sono viste in funzione dei contenuti veritativi che possono fare emergere e nello stesso ricevere da altri campi con l’arricchimento reciproco, una volta riconosciuti i rispettivi limiti proprio nello spirito dell’autentico pensiero complesso di cui ci ha dato una delle prime concrete testimonianze.