In cinese e giapponese…

Quando si studia una lingua straniera, non è raro imbattersi in una parola il cui suono è molto simile a quello di un termine che nella propria lingua ha un significato completamente diverso, e a volte il risultato è esilarante.

Ricordo ancora, quando studiavo a Roma e giocavo a calcio in una squadra internazionale, un compagno di squadra irlandese che scoppio a ridere quando sentì parlare di “parastinchi”, visto che “stinky” in inglese significa puzzolente.

Il cinese è una lingua completamente diversa dall’italiano, e quindi la possibilità di trovare parole del genere è ridotta, ma per tutti gli studenti di cinese la parola, o meglio l’espressione che diverte di più è 辛苦了che si legge “xinkule”, e penso che non ci sia bisogno di aggiungere altro, se non che in cinese è una forma di ringraziamento per qualcuno che si è speso molto per aiutarti, e infatti tradotto alla lettera più o meno significa “ti sei affaticato”.

Noi che lavoriamo in Cina ci ridiamo su, scherzando sul fatto che quando il nostro capo cinese ci ringrazia così, in realtà vuole intendere proprio il significato italiano del termine, fingendo di ringraziarci.

Io che però ho studiato anche il giapponese, e ho passato anche un paio di mesi nel Paese del Sol Levante, posso affermare che di termini simili con un significato ben diverso ce ne sono tanti, anche perché la pronuncia del giapponese è molto più simile a quella dell’italiano di quanto si possa immaginare, e mi è capitato più di una volta, per esempio in Vietnam e a Bali, che qualcuno sentendomi parlare in italiano con mia moglie, pensava che lei fosse giapponese e io sapessi parlare la lingua (che effettivamente mastico un po’), e uno mi ha persino fatto i complimenti.

Come dicevo, in giapponese ci sono diverse parole che possono essere fraintese da un italiano, come かね(金) che si legge “kane” ma significa “soldi, denaro” o もり(森) “mori”, che non è né un colore dei capelli o della pelle, né un invito romanesco a passare a miglior vita, ma significa “bosco, foresta”.

La cosa si fa particolarmente divertente per gli andriesi come me, perché ci sono parole che sembrano prese direttamente dal nostro dialetto, come 茶色“chairo”, che non è la cera e neanche un’offesa, ma è semplicemente il colore marrone, o colore del tè, come lo chiamano loro.

Ma il mio preferito è il verbo 買って, cioè “katte” che, come il nostro “accattè” significa proprio “comprare”.

Il capolavoro lo si raggiunge però con la data del mio compleanno, cioè l’otto settembre.

Immaginate il mio divertimento quando un giapponese mi chiede quando è il mio compleanno e io rispondo 九月八日, ovvero “kugatsu youka”, che ricorda un po’ quelle barzellette sui nomi giapponesi che andavano di moda negli anni ’80-’90.