“Questi ci avvelenano! Quest’anno il panettone me lo faccio io!”
“Il panettone? Basta! Questa volta lo faccio io!” Esclama, d’impeto, Antonio Santeramo, mentre i denti affondano ed impastano con dolce ptialina l’ultimo boccone di cime di rape e strascinati, inondati di extravergine di sua produzione.
Colti di sorpresa, Concetta, sua moglie ed i suoi figli, Angela e Carmine alzano di scatto la testa dai loro piatti, che venivano amorevolmente accarezzati con la consueta “scarpetta”.
“Ma… vi rendete conto, vi chiedete, caspita!,” battendo il pugno, nel rivolgersi ai suoi cari, “come mai nelle gigantesche pagnotte, fatte da mia madre, quand’ero bambino, scorrazzavano zigzaganti striature verdastre di muffa, quelle rarissime volte che la fame atavica non era riuscita ad esaurirle per tempo? Ma ti sei mai domandata, Concetta, perché’ la torta Saint Honoré, che prepari tu, bisogna consumarla in un paio di giorni? Altrimenti…” Con tono sdegnato: “Quelli ci avvelenano! A loro sta a cuore solo il profitto. La nostra salute viene insidiata quotidianamente. Con tanti conservanti, coloranti, pesticidi ed ormoni!”
Alcuni giorni prima delle festività natalizie, Tonino, un bell’uomo, dalla possente corporatura, bonario nel sorriso stampigliato sul viso, con la battuta pronta a spiccare il volo, è indefessamente alle prese con il computer. Visita diversi siti web, italiani e stranieri, per accaparrarsi la migliore ricetta e la più efficace procedura per realizzare un panettone da sogno, eminentemente biologico.
Tutti i pasticcieri consultati concordano che non è difficile preparare il dolce milanese. Occorre solo armarsi di tenacia e pazienza. Allora, lancia in resta, Antonio, docente di informatica, si procura gli ingredienti: il lievito madre, la farina “Manitoba”, semola di grano duro “Saragolla”, di produzione locale, molita a pietra, frutta candita, zucchero integrale di canna, scorzette di arancia, cedro e limone. Il burro e le uova provengono da una masseria di giovani contadini con pesanti lauree di Castel del Monte. L’uva sultanina, gliela offre l’amico Mimmo.
È sera, solo qualche coraggioso passante, intabarrato di tutto punto, cammina lestamente per via Straniero, il cielo è stellato, e la luna, fattasi amaca tra due stelle, dondola pietosamente i tanti bambini della Siria, affamati, assetati, contaminati, terrorizzati e bombardati. All’interno della casa, la temperatura oscilla tra i 19 ed i 20°, ma quella del corpo di Antonio lambisce i 37. L’esordiente pasticciere è nel bagno, si sta accuratamente lavando le mani con sapone di Marsiglia. La prima e la seconda volta!
Lo attende in cucina il consunto “tavoliere” di sua moglie, inondato dalla calda luce a led che sgrana gli occhi luminosi più del solito. Occorre “rinfrescare” l’informe “crescente.” Partenza! Alle virili mani si abbarbica, il lievito madre, e non volendone proprio sapere di rompere l’abbraccio, una smorfia di fastidio si disegna sul viso del trepidante operatore. Nell’aria si propaga un gradevole odore acidulo, e l’apparizione di miriadi di alveoli genera sgomento. Eeee… dàaai… Il professore lavora con ardore il piccolo impasto con entrambi i palmi delle mani. I pollici, incrociandosi ripetutamente, si accarezzano.
Giorno del gran cimento. Lungo i vetri della finestra, che guardano nelle tetre profondità del cielo, goccioline di umidità, appena stillate, ammiccano luccicanti, prima di rincorrersi. Natale è alle porte, Il tempo atmosferico continua ad essere inclemente, da lontano risuona flebilmente l’eco di una superstite santa allegrezza. Nella casa della famiglia Santeramo si gode un tepore da favola. Le mani di Antonio, candidissime, fremono di impazienza. Anche la moglie è in cucina, ma per discrezione la sua presenza svanisce.
Una pellicola di zucchero brunastro ricopre l’informe cratere biancheggiante di farina, e l’acqua tiepida, intorbidita dal lievito madre appena disciolto, piovendo a filo, riempie la gorgogliante conchetta. Le mani si impiastricciano, il disagio è alle stelle, ma la motivata operosità lavora imperterrita. Pian piano l’impasto si amalgama, diventa sempre più cedevole, carezzevole, ed il viso dell’esperto di computer, per la soddisfazione, si distende piacevolmente.
“Urra!” Urlano gli altri ingredienti, bramosi di realizzare il loro sogno d’amore. Complessivamente, l’impasto pesa due chili, bastevoli per quattro piccoli panettoni. Realizzate, perciò, delle palle, vengono adagiate negli stampi, ricoperti di carta da forno.
Notte di plenilunio, ma le nuvole fanno dispetti. Fuori, perciò, è buio pesto, il sonno viene e va. Dalla stanza da letto, passi felpati raggiungono la cucina. Occhi indagatori si precipitano ansiosi sui quattro dolci ed indugiano compiaciuti. L’impasto cresce a vista d’occhio, occorre però, per dare una spinta maggiore, ritoccare la temperatura dell’ambiente che leggermente è calata.
Passano dodici ore, i panettoni sono notevolmente lievitati, ed il forno ha raggiunto la temperatura ideale. Grande trepidazione nei gesti e negli sguardi di Antonio. Concetta se ne accorge e, avvicinandosi al marito che non stacca il viso dal vetro del forno, gli passa una mano rasserenante sulle spalle. Quando finalmente i tondeggianti cocuzzoli traboccano dai bordi degli stampi, un prolungato sospiro allenta definitivamente la tensione.
Pronto in tavola, il panettone di Antonio
Le cupole non devono assolutamente implodere, quindi urgentemente i caramellati dolci vengono infilzati da spiedini di metallo e lasciati sospesi, come dei pianeti, incantati per un attimo ad ammirare l’universo. Il risultato va al di là delle aspettative. Ora tutto il corpo di Tonino esprime serenità, persino le raminghe rughe che cerchiano gli occhi sono andate a farsi una passeggiata. Affacciandosi, con la bocca socchiusa e gli occhi sgranati, Angela, esclama: “Bravo, paparino! Bravo!” Concetta teneramente lo bacia e lui, prosciugato di tutte le energie, affonda nel divano.
Natale. La tavola, imbandita come non mai, è allietata da ospiti affettivamente importanti, Filomena e Tiberio, i consuoceri, Ruggiero, il figlio sposato, Valentina, la nuora ed i nipotini Antonio e Sofia. C’è da leccarsi i baffi, mentre le narici entrano in fibrillazione. Augurato il buon appetito, le forchette, all’unisono, partono all’attacco delle fumanti lasagne al forno. Anche Antonio affonda le sue fauci ed, interrompendosi, non la smette di lodare la mogliettina e la figlia. Man mano, però, che il pranzo si avvicina al termine, un’ombra di trepidazione gli scompone la serenità dei lineamenti.
Piatti e posate, con un fastidioso acciottolio, si avviano, scompostamente impilati, verso la cucina. Animata è la conversazione tra i convitati, ma… non appena i panettoni, coperti da un elegante drappeggio, entrano elegantemente in scena su un vassoio a fiorami, le voci si stemperano, gli smartphone finiscono in tasca, gli occhi si spalancano ed un “ohohohoh!” di meraviglia copre il gracchiare del televisore a cui nessuno, ormai, porge ascolto.
Profonde incisioni a croce tagliano le cupole, increspate di minuscole scaglie, delle attese leccornie dolciarie. Discostata la carta da forno, la lunga lama del coltello lancia guizzi di luce, poi, impietosa, affonda nella montagnola mammellare, ed appare un bel giallo paglierino, crivellato di uva sultanina e frutta candita. La sofficissima alveolatura e l’aroma, che si sprigiona, scombussolano le narici.
Il piccolo Antonio, che nutre una particolare predilezione per il nonno, tende le manine e le agita ripetutamente, ma, sentendosi inascoltato, si allunga sulle gambette e lo strattona, biascicando “A me, nonnoo, a me, nonnoooooo, a meeeee!”. Occhi lucidi, tenerezza nello sguardo e dolci parole: “Sì, sì, amore. Dammi il tempo di tagliare!”
Nessuno parla, tutti sono indaffarati, poi, annuendo con la testa e roteando il palmo della mano a conchetta, decantano la bontà del dolce, finché alla fine esplode un applauso. È natale, ma il viso del protagonista è una pasqua.
Un brindisi di spumante, realizzato con una uva “Troia” del proprio poderetto, rincorre I bocconi ingeriti che vengono apprezzati anche dagli acidi succhi gastrici e dai villi, impegnati in una danza frenetica nella discoteca dell’intestino. Persino la flora batterica, ringraziando per la deliziosa manna piovuta dall’alto, si impegna ad eliminare con maggior lena le tossine e combattere gli insidiosi antagonisti, responsabili di tante patologie.
“Nonnoooo… Nonnoooo, ancooora! Pagnattoone, pagnattone!?” Esclama il piccolo virgulto. L’emozionato avo, piegandosi in due ed accarezzando la fluente chioma del piccolo: “Domani, amore, ne farò degli altri. Sei contento?” “Sì, sì!” Esclama, mettendo in mostra i pochi dentini e battendo le candide manine. Da lontano, la piccolissima Sofia, a cavalcioni sulle gambe della madre, protendendosi oltremisura, farfuglia: “Nonooo, pue a… Sofia paiatone!”
Antonio alle prese conla potatura del vigneto