Seconda tappa del viaggio fra i grandi personaggi che ispirarono il sogno di un continente prospero e unito: l’Europa

 

“Abbiamo bisogno di una legge europea, di una Corte di Cassazione Europea, di un sistema monetario unico, di pesi e di misure uguali, abbiamo bisogno  delle stesse leggi per tutta Europa. Voglio fare di tutti i popoli europei un unico popolo.”

Genio militare, codificatore, esportatore delle idee rivoluzionarie, uomo del consenso: Napoleone Bonaparte, nel 1793, ventiquattrenne, libera il porto di Tolone. Ha inizio la sua scalata militare che lo porterà a controllare Francia, Italia, Spagna, Polonia, Svezia, Olanda e gli stati tedeschi, strappati agli Asburgo e uniti nella Confederazione del Reno. Non tutti sono d’accordo nel considerare l’Imperatore dei Francesi “Padre dell’Europa”. Le sue innovazioni dal punto di vista amministrativo e legale tuttavia, non possono essere ignorate neanche dai detrattori.

Il suo codice civile, appunto il Codice napoleonico, è alla base di tutti i codici occidentali. Con esso vennero introdotti in Europa, e nel sistema giuridico occidentale, concetti nuovi quali laicità e uguaglianza. Lo stesso fu poi reso operativo per tutti i territori controllati dal generale Bonaparte, unificando l’Europa dal punto di vista legislativo. Fu sempre di Bonaparte, infine, l’idea di creare la prima unione doganale nel vecchio continente. In realtà questa funzionò come semplice blocco nei confronti dell’Inghilterra, ma aprì le porte alla più importante “Zollverein”: l’unione doganale tedesca. Pur se con le armi Napoleone desiderò unire gli europei, ma l’ambizione e la superbia gli fecero commettere gli errori di cui sono piene le pagine di storia.

“L’Europa sarebbe diventata di fatto un popolo solo; viaggiando ognuno si sarebbe sentito nella patria comune. Tale unione dovrà venire un giorno o l’altro per forza di eventi”. Nel “Memoriale di Sant’Elena”, il Generale auspicò la nascita, un giorno, di una lega di popoli, una grande famiglia europea. A questo proposito fu lui a portare alla ribalta del sistema sociale europeo la Borghesia, schiacciata fino a quel momento dai retaggi del feudalesimo e dal clero. Grazie ai concetti rivoluzionari diffusi grazie alla rivoluzione francese, la società borghese ricevette i suoi spazi nell’esercito e nel governo. Nemmeno il Congresso di Vienna e la Restaurazione riuscirono a ridimensionare le ambizioni della società borghese.

In seguito ci furono Victor Hugo e Giuseppe Mazzini. Alla Conferenza di Pace di Parigi, nel 1849, lo scrittore Francese, prendendo parola disse: “Verrà un giorno nel quale l’uomo vedrà questi due immensi insiemi, gli Stati Uniti d’America e gli Stati Uniti d’Europa, posti l’uno di fronte all’altro, tendersi la mano al di sopra dell’oceano, scambiare fra loro merci, prodotti, artisti, scienziati..”. Poi Mazzini. Il suo sogno furono gli Stati Uniti d’Europa, un’Europa in cui si respirare valori quali solidarietà, pace, diritti. Un’Europa in cui le nazioni più ricche aiutassero quelle più povere, non solo dal punto di vista economico, ma anche nella ricerca della propria identità nazionale. Nel momento in cui Mazzini elaborava le sue idee nel contiennte c’erano diversi popoli schiacciati dalla dominazione straniera, su tutte l’Italia settentrionale e i paesi balcanici. Nell’Europa dei popoli voluta da Mazzini il comando non sarebbe più spettato alla Francia, da sempre egemone nel vecchio continente, bensì alle nazioni che più sofferenti per permettere loro di affermarsi come stato nazionale, ovvero Italia, Germania e gli stati dell’Est.

Oltre a Hugo e Mazzini l’ingegner Carlo Cattaneo. Mentre lavorava all’Unità d’Italia usò nei suoi scritti parole quali “Famiglia Europea”, abbattimento delle dogane, uniformità della moneta. Dovettero passare decenni e guerre interminabili prima che qualcun altro riprendesse a parlare di Europa non solo come campo di battaglia.

La guerra Franco-Prussiana e il primo conflitto mondiale cambiarono diversi equilibri nel vecchio continente. Le idee federaliste di Mazzini e Cattaneo lasciarono il posto alla Società delle Nazioni, nata nel 1919 per garantire la pace e la cooperazione internazionale. Non tutti avevano però dimenticato i concetti espressi da Mazzini e Cattaneo. In particolare un giovane economista italiano attraverso delle lettere al Corriere della Sera, criticò fortemente la Società delle Nazioni, definendola inutile. “La guerra presente è la condanna dell’unità europea imposta colla forza da un impero ambizioso; ma è anche lo sforzo cruento per elaborare una forma politica di ordine superiore. Questa deve essere il frutto degli sforzi di uomini convinti che soltanto le cose impossibili riescono ed hanno fortuna; ma devono essere sforzi indirizzati non ad affermare maschere false di verità, ma ideali concreti, saldi, storicamente possibili”. È il 1918, la guerra è ancora in atto, il giovane si firma Junius. Trent’anni dopo diverrà Presidente della Repubblica Italiana.

Le “Lettere di Junius”, raccolte e pubblicate, passarono inosservate nel caos europeo dovuto all’avvento dei totalitarismi e alla nuova minaccia bellica. Sul finire degli anni 30 però, mentre Hitler invadeva la Francia, il libro arrivò sull’isola italiana di Ventotene che ospitava alcuni confinati dal regime di Mussolini. Un confinato, Ernesto Rossi, capì subito chi si nascondeva dietro lo pseudonimo Junius: il suo professore universitario Luigi Einaudi. (continua)

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