Orlando furioso o … innamorato delle primarie?

«È la Giustizia», disse infine il pittore.

«Ah già, ora la riconosco», disse K., «qui c’è la benda intorno agli occhi e qui c’è la bilancia. Ma non ha le ali ai piedi e non sta correndo?».

«Eh già», disse il pittore, «ho dovuto dipingerla così su commissione, in realtà è la Giustizia e la Vittoria insieme». «Non è un’unione riuscita», disse K. sorridendo, «la Giustizia deve stare ferma, altrimenti la bilancia dondola, e non può esserci una sentenza giusta».

«Sto alle richieste del mio committente»

Kafka, Il processo

Ancora una, l’ennesima. Non sono passati tre anni dall’approvazione dell’ultima “corposa” riforma del sistema penale (l. 28 aprile 2014, n. 67) che il legislatore ha riaperto il cantiere, nel solito modo convulso, frammentario e, per ciò, inevitabilmente irrazionale. Anche il ministro della giustizia Orlando, non certo per il fatto di non essere laureato in giurisprudenza, alla fine ha ceduto, sopraffatto dalla coazione a ripetere delle riforme senza riforma. Forse con l’obiettivo di guadagnare crediti di popolarità, in vista delle primarie, il guardasigilli ha preteso (e ottenuto) il voto di fiducia del Senato sul disegno di legge-delega (d.d.l.) che porta il suo nome, non esitando, peraltro, ad interrompere bruscamente anche un dialogo, fino a quel punto costruttivo, con l’Unione delle Camere penali (l’associazione italiana degli avvocati penalisti), che ha reagito vigorosamente proclamando due periodi di astensione dal 20 al 24 marzo e dal 10 al 14 aprile.

Non è questa la sede, per una riflessione nel dettaglio sui molteplici interventi che prospetta il d.d.l. “Orlando”. Sono questioni molto tecniche. Del resto, fluisce ancora il working progress e, quindi, non si può escludere che, nel prossimo passaggio parlamentare, la Camera dei deputati introduca alcune modifiche.

Alcune considerazioni di fondo, tuttavia, sono possibili e – perlomeno lo auspico – possono interessare anche i non specialisti.

Il legislatoris’karma è l’“efficientazione” della giustizia penale, troppo lenta e “improduttiva”. È un neologismo orribile, ma, de gustibus a parte, è l’opzione di politica legislativa (e criminale) sulla quale bisogna riflettere, perché presenta aspetti inquietanti.

È la stessa inquietudine che suscita una delle più suggestive immagini del processo di Kafka: la giustizia alata, che nella corsa – proprio come osserva lo stesso personaggio del libro, K. – rischia di perdere l’indispensabile equilibrio e, quindi, di sbilanciarsi. Fuor di metafora. La Costituzione prescrive che il processo dev’essere giusto; il processo non è giusto se dura in misura eccessiva, irragionevole. La lunghezza dei giudizi è senza dubbio un problema grave, profondo ed endemico della giustizia italiana (penale e non). Senza dubbio occorre accelerare ma non ogni accelerazione è di per sé buona; non lo è, per esempio, se contrasta con il principio del fair trail; non lo è di sicuro se impone (come prospetta, ad esempio, la riforma Orlando) ai detenuti di “partecipare” al processo solo in videocollegamento dal carcere. È una previsione che – in contrasto con la Costituzione – instaura un rito speciale per gli imputati reclusi. Un rito speciale e meno garantito, perché (se non altro) ogni avvocato sa quanto è importante nelle fasi cruciali del dibattimento il costante confronto con l’assistito.

Si ripete un cliché. La legislazione dell’emergenza (in questo caso, la lunghezza dei processi) si intreccia con il diritto penale del privilegio: più garanzie per gli amici (anche a suon di leggi ad personam), gli imputati, i colletti, più o meno, bianchi meno che rispondono di reati tendenzialmente estranei alla prospettiva del carcere, meno per gli altri (i detenuti).

È un fenomeno, non nuovo, anzi agée. Specifico del nostro orizzonte temporale è il cemento rappresentato dalla crisi permanente nella quale si esprimono molteplici fattori:

– l’impossibilità di «far quadrare il cerchio tra creazione di ricchezza, coesione sociale e libertà politica»[1];

– le tentazioni autoritarie che comporta la stabilizzazione dell’instabilità mediante la «tirannia dell’immediato»[2];

– gli effetti iterativi dell’ordine disordinato, per cui i “ricchi sono sempre più ricchi” e i “poveri sempre più poveri”, non solo di risorse economiche ma anche di diritti.

Com’è stato acutamente osservato è una sorta di socialismo per i ricchi vs un liberismo per poveri[3]; una prospettiva, che, per un verso, precipita nel baratro le “sinistre” mondiali irretite dalle parole d’ordine della destra[4], per l’atro favorisce l’uso politicamente strumentale delle posizioni garantiste contaminandole con il retrovirus della «insofferenza per ogni limite e controllo giuridico … nei confronti del potere politico e di quello economico»[5].

 

[1] R.Dahrendorf, Economic opportunity, civil society, and political liberty, trad. it., Laterza, 1995, p. 14.

[2] G.L. Bulsei, Ambiente e politiche pubbliche. Dai concetti ai percorsi di ricerca, Carocci, 2005.

[3] Così V.Ruggero, Profili criminologi dell’infiltrazione criminosa dell’economia, in Economia e diritto penale nel tempo della crisi, II Convegno Nazionale dell’Associazione Italiana dei Professori di diritto penale, Palermo, 15-16 novembre 2013.

[4] Cfr. da ultimo Così J.Habermas, La risposta democratica al populismo di destra, in Micromega, 2017 (2), p. 4.

[5] L. Ferrajoli, Cos’è il garantismo, in Criminalia, 2014, p. 132-133.