Il 1993 è stato per la questione meridionale indubbiamente un anno di svolta. Il tema, dopo esser stato al centro del dibattito politico italiano per un secolo intero, aver interrogato le menti di alcuni fra i più dotati studiosi, esser stato uno dei punti interni di discussione più problematici in tutti i partiti della prima repubblica (il PCI, negli anni ’50, gli dedicava addirittura la rivista “Cronache meridionali” e il Partito Repubblicano la rivista “Nord e Sud”), venne rimosso. Non risolto, rimosso. Con la fine dell’intervento straordinario, ossia con la chiusura della Cassa del Mezzogiorno, la questione meridionale semplicemente smise di essere una questione nazionale. Si credette furbescamente che patti territoriali, contratti di programma e contratti d’area avrebbero risolto il problema, ovviamente a torto.

A dimostrazione di quanto grosso fosse il torto di quella scelta ci furono gli anni successivi al 1993, per la precisione i primi 8, nei quali i dati sull’economia meridionale furono in assoluto i più negativi di tutto il dopoguerra. Nonostante questo si continuò ad ignorare il problema, come si continua ad ignorarlo oggi e, statene pur certi, il problema continua ad aggravarsi. Qualche giorno fa, come succede ogni anno, l’Istituto SVIMEZ, l’ente creato da Pasquale Saraceno negli anni ’50 per studiare l’economia del Mezzogiorno, ha pubblicato il suo rapporto, un rapporto tutto da piangere che non a caso fa riferimento ancora a periodi seguiti alle guerre.

Il Sud continua a corrodersi di anno in anno, il segno “meno” la fa da padrone praticamente in tutti i campi esaminati. Il Pil del Mezzogiorno nel 2014 è sceso al -0,4%, a differenza di quello stazionario del Nord. Per il Sud è il settimo anno di recessione. Sono scesi gli investimenti del 5,2%, sono scese le esportazioni dello 0,6%. Sono calati i redditi del 15% nei 5 anni intercorsi fra 2008 e 2013. Negli stessi anni si sono persi 583 mila posti di lavoro, ossia il 60% delle perdite nazionali, così che ora gli occupati meridionali sono 5,8 milioni, il dato più basso dal 1977. Nei primi 3 mesi del 2014, il Meridione ha perso 170 mila posti di lavoro, contro i 41 mila del Centro-Nord. Infine, i morti sono più dei nati, cosa verificatasi solo dopo la Terza guerra d’indipendenza (1871) e dopo la Prima Guerra Mondiale (1918). “Il Sud sarà interessato nei prossimi anni da uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così a pesare per il 27% sul totale nazionale a fronte dell’attuale 34,3%”, minaccia lo Svimez.

Questi dati, immagino, avrebbero dovuto allarmare qualcuno e invece, come si fa ormai da 20 anni a questa parte, quel qualcuno se ne è sbattuto. Si prenda il decreto “Sblocca Italia” recentemente approvato, non solo non concede niente in più al Sud così da arginarne la decadenza, non solo non gli da quello che gli spetterebbe di diritto, addirittura lo penalizza. Unendo i fondi dello “Sblocca Italia” a quelli della Legge di Stabilità, si vede come al Meridione tocchi il 19% degli stanziamenti totali. Il Sud ha un peso del 33% rispetto all’Italia intera e versa il 24% delle tasse totali, riceve in cambio il 19% dei fondi: qualcuno avvisi Salvini e tutta la compagnia dei derubati immaginari.

Uno degli ambiti in cui lo scandalo è più evidente è quello dei trasporti, soprattutto delle ferrovie. Il governo ha dato quest’anno alle ferrovie 5 miliardi: quanti di questi soldi toccheranno alle strade ferrate del Meridione? 60 milioni. Cioè il totale è stato diviso destinando il 98,8% delle risorse al Nord e l’1,2% al Sud. Eppure la situazione dei trasporti nel Mezzogiorno è incomparabilmente peggiore, a tratti disastrata. Le linee a binario doppio sono al Sud il 23%, al Nord il 50%. Le linee elettrificate sono il 28% al Sud e il 49% al Nord. Nei primi 10 anni del 2000, mentre venivano eliminate le tratte a lunga percorrenza, al Centro-Nord si costruivano 560 km di alta velocità. Nel 1993 per andare da Reggio Calabria a Bari c’erano 7 treni, e per il ritorno 5, oggi sono 3, di cui solo 1 diretto. Per andare da Potenza a Matera e coprire i 102 km che dividono le due città, oggi ci vogliono 6 ore e 50 minuti: bisogna fare Potenza-Foggia, Foggia-Bari e Bari-Matera. Ricordiamo che Matera, nel 2019 capitale mondiale della cultura, è l’unico capoluogo d’Italia non raggiunto dalle Ferrovie dello Stato. Per andare da Trapani a Siracusa in auto ci si impiega 3 ore e mezza, in treno 11 ore e 2 minuti. Infine Napoli-Bari non sono collegate da neanche un treno diretto, dovrebbe arrivare un treno ad “alta capacità”, ma non prima del 2028.

Abbiamo parlato dei trasporti perché ambito emblematico e cruciale, ma simili disfunzioni è possibile rintracciarle in numerosi altri ambiti: da quello del turismo e dei beni culturali a quello della formazione, da quello della sanità a quello dei rifiuti. Dopo 20 anni dalla fine dell’intervento straordinario si può dire che l’idea per cui di Sud ci si era occupati abbastanza e poteva essere lasciato solo nel tentativo di cavarsela, non ha funzionato. È invece necessario più che mai che la “questione meridionale” torni ad essere una questione nazionale, occupando un posto centrale nella vita politica dei partiti oggi in campo, nei loro programmi, nei loro dibattiti e nelle loro lotte. La cosa potrebbe dare fastidio alla classe dirigente oggi al governo perché quello meridionale è un problema vecchio, che sa irrimediabilmente di ‘900, e invece loro sono giovani e proiettati verso il futuro. Eppure è un problema che tutta la loro freschezza e giovinezza non è riuscito a rottamare e sinceramente il tavolo dedicato al Mezzogiorno durante l’ultima Leopolda, occhio e croce, non sembra poter bastare.


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"Andrea Colasuonno nasce ad Andria il 17/06/1984. Nel 2010 si laurea in filosofia  all'Università Statale di Milano con una tesi su Albert Camus e il pensiero meridiano. Negli ultimi anni ha vissuto in Palestina per un progetto di servizio civile all'estero, e in Belgio dove ha insegnato grazie a un progetto dell'Unione Europea. Suoi articoli sono apparsi su Nena News, Lo Straniero, Politica & Società, Esseblog, Rivista di politica, Bocche Scucite, Ragion Pratica, Nuovo Meridionalismo.   Attualmente vive e lavora a Milano dove insegna italiano a stranieri presso diversi enti locali".

2 COMMENTI

  1. Perfettamente d’accordo con te Andrea. Pero’ mi chiedo: quanta colpa abbiamo anche noi meridionali in tutto questo? Ci informiamo poco, leggiamo poco e soprattutto continuiamo a farci “infinocchiare’ da personaggi loschi ed immorali all’interno delle nostre istituzioni locali che non hanno nessun interesse a promuovere lo sviluppo del Mezzogiorno. Persone che non hanno nessuna cultura del “bene pubblico”, scarsissime capacita’ (e volonta’) di gestire i fondi di sviluppo regionale dell’Unione Europea, ma che spesso ottengono il nostro sostegno, in cambio di qualche “favore”. Solo noi possiamo fare in modo che questa gente la smetta di decidere al posto nostro. Senza una rinnovata cultura civica, senza un movimento di rinnovamente “dal basso” il Sud continuera’ ad essere tristemente una terra di “fuga di cervelli”, e soprattutto si abituera’ ad accettare un ruolo subalterno rispetto ad altre aree non dico d’Italia, ma del mondo intero.

  2. Eh sì, l’assistenzialismo non è mai abbastanza. Ad esempio ci sono 10500 forestali solo in Calabria (il doppio dei ranger canadesi), 160 milioni di euro all’anno. Però poverini il treni vanno troppo lenti…. Ma fatemi il piacere, andate a lavorare!!

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