I prof non hanno sempre le risposte per tutto, ma forse un insegnamento importante si può dare alle nuove generazioni: non siate omertosi

Tutto è iniziato nel 2002, avevo 17 anni e in una calda giornata d’estate ho incontrato al mare il mio professore di liceo Paolo Farina: “Alessandra, ti regalo questo piccolo libricino, si chiama Memoria e Libertà, custodiscilo con cura”. Incuriosita dalla lettura, appena tornata a casa ho letto tutto d’un fiato il libricino e ho riflettuto tra notti spesso insonni e sogni che mi turbavano.

Il libricino parlava della Shoah. Tutti sanno che cos’è, ma forse pochi provano un dolore profondo a parlarne. Per anni, di quei treni diretti alla morte nessuno sapeva nulla o forse tutti sapevano, ma nessuno parlava. Quando ci sono di mezzo 6 milioni di morti innocenti è sempre meglio tacere che parlare. Io avevo solo 17 anni, ma leggendo questi racconti o meglio testimonianze è come se avessi percorso quei lunghi tragitti, sentito gli stessi odori, provato gli stessi dolori fisici e del cuore, ma io fortunatamente non ero lì.

Lì però c’era Elisa Springer, una ragazza di 26 anni. La sua testimonianza non l’ho mai dimenticata, le sue parole prive di rancore e odio verso i suoi carnefici, il suo inno all’amore e alla vita, le parole buone verso un Dio che c’era ad Auschwitz, che vedeva il fumo delle camere a gas salire e disperdersi nel cielo, che però l’ha riportata alla vita. Elisa era un’insegnante come me, ha avuto paura per anni di parlare della sua storia, ha nascosto i numeri sul suo braccio con un cerotto. Io non ho avuto a parlare di lei e di tante altre donne, uomini, bambini a cui è stato strappato il sorriso, alienati e privati di tutto: la vita.

Così il 27 gennaio sono entrata in classe e ho letto questa testimonianza ai ragazzi: è calato un silenzio cupo, ho visto occhi lucidi, udito voci tremanti che mi facevano tante domande, le più comuni: Perché professoressa? Perché ricordiamo ma ripetiamo gli stessi errori? Perché esiste il male? Perché costruiamo ancora campi di concentramento su gommoni in fuga attraverso il mare? Perché innalziamo le frontiere? Adesso ad essere commossa ero io, come si può rispondere a cosi tante domande?

I prof non hanno sempre le risposte per tutto, ma forse un insegnamento importante si può dare alle nuove generazioni: non siate omertosi. Il silenzio uccide più delle parole dette, se si ha paura della diversità religiosa, politica, del colore della pelle, dei gusti sessuali non si potrà mai cambiare il mondo e la cosa più sbagliata è adeguarsi alla vox populi. Purtroppo queste tematiche sono ancora molto calde, hanno segnato con un marchio nero le pagine della nostra storia: la shoah, le foibe di cui purtroppo si sa ancora molto poco, i gulag, i genocidi degli armeni, i genocidi nei posti dimenticati dell’Africa. Che colpa hanno tutte queste vittime?

Ho provato a darmi una risposta in questi miei versi, che vi affido:

 

“OLTRE I CONFINI”

 

Ci dicono che la vita è piena di colori e odori,

ma noi viviamo di timori

Timori di chi è diverso,

ma è l’impero ad essere perverso.

Viviamo di speranza,

ma spesso viene infranta.

Valichiamo le frontiere

con sacchi sulla spalla e zaini pieni di speranza,

guardiamo le stelle

sognando giornate più belle,

guardiamo il mare

ma che c’è di male?

Sui libri di storia c’è scritto delle guerre, degli imperi, dei coloni

che spesso sono stati solo grandi sfruttatori,

ricordiamo, celebriamo, discutiamo

ma ancora non impariamo,

non impariamo che i colori sono belli,

che gli occhi sono sempre quelli,

che i bambini devono giocare nei campi di fiori

e non buttati sui gommoni,

gli uomini e le donne devono guardare l’orizzonte

sperando che sia solo una inesauribile fonte.