Imprese che parvero al limite dell’immaginabile
Pare che ci fosse un tacito accordo tra le parti, un venirsi incontro per migliorare il dialogo, supportare iniziative un tantino più serie, già avviate, come ad esempio gli accordi SALT. Leonid Brežnev e Richard Nixon si spartirono, dicitur, le Olimpiadi: a Mosca quelle del 1980, a Los Angeles quelle del 1984.
Perfetto, da veri, galantuomini.
Ma i due leader politici, forse meglio dire l’Americano, non avevano fatto i conti con le bizzarrie della storia, quel ciclico ritorno che si tramutò nello spiacevole déjà-vu dei carri armati sovietici che invasero di nuovo un Paese sovrano. Come nel 1956 a Budapest e nel 1968 a Praga, i giganti cingolati entrarono senza invito in Afghanistan. Ma le Olimpiadi erano ormai diventate qualcosa di serio, al pari delle iniziative per il disarmo, una cassa di risonanza capace di creare scossoni incontrollabili. Gli Stati Uniti protestarono chiedendo al CIO la revoca dei Giochi alla Russia, inutilmente.
E allora, come quattro anni prima, fu boicottaggio.
Al “no” alle Olimpiadi pronunciato dal presidente Carter fecero seguito quelli di diversi Paesi occidentali, tra cui Germania Ovest Canada, Norvegia, Giappone, Corea del Sud, Cile, Argentina, Israele e Cina, che sarebbe dovuta tornare ai Giochi proprio a Mosca e che così rinviò la sua partecipazione. Presenti furono la Gran Bretagna e la Francia che parteciparono sotto la bandiera olimpica. L’Italia scelse un compromesso: oltre all’uso della bandiera del Comitato olimpico, parteciparono a Mosca solo gli atleti che non facevano parte delle squadre sportive militari.
Quando il 19 luglio Brežnev aprì ufficialmente i Giochi della XXII Olimpiade, dopo una maestosa e spettacolare cerimonia, le Nazioni presenti al via erano solo ottanta.
A risentire del boicottaggio fu senza dubbio l’atletica leggera che perdeva protagonisti eccellenti, in primis i velocisti americani e uno su tutti, Edwin Moses, che molto probabilmente a Mosca avrebbe bissato il successo di Montreal. Nei 100 metri la vittoria andò al britannico Wells, con il tempo mediocre di 10’’25. Sui 200 metri era atteso il nostro Pietro Mennea che non godeva di buona salute: era reduce dalla rinuncia ai 100 metri per un problema muscolare e puntava tutto sulla doppia distanza, la gara di cui era detentore del primato del mondo, stabilito alle Universiadi di Città del Messico del 1979, ad oggi ancora record europeo. Nella finale partì male, ma come al solito riuscì a recuperare il terreno perduto e ad arrivare primo sul traguardo. Fu il coronamento della sua gloriosa carriera, l’accesso nell’Olimpo degli immortali. Le rivali di Sara Simeoni invece c’erano tutte e dovette trovare alle soglie dei due metri (1,97 record olimpico) il salto che le valse l’oro. La storica avversaria, la Ackermann, finì fuori dal podio preceduta dalla polacca Kielan e dalla connazionale Kirst. Alcuni risultati furono memorabili e colmarono la presunzione di giudicare non di livello questa edizione. A toccare vette fino ad allora inesplorate fu il baffuto e cappelluto Władysław Kozakiewicz, che veniva dal Paese salito alla ribalta con Solidarnosc e con l’elezione di papa Wojtyla, che nel salto con l’asta raggiunse la misura di 5,78, altezza che parve al limite dell’impossibile e che esultò facendo un gesto non proprio…solidale. Impresa si può considerare quella di Cierpinski, di nuovo oro nella maratona e secondo, dopo il leggendario Bikila, a vincere due volte di fila la corsa più lunga. Teniamo a mente il nome di Daley Thompson, oro nel decathlon: lo ritroveremo nelle prossime narrazioni. Indimenticabile fu la lotta fratricida tra due leggende del mezzofondo britannico, Steve Ovett e Sebastian Coe. Il primo vinse dove era favorito il secondo, sugli 800; mentre Coe si affermò sui 1500 metri.
Senza gli americani il nuoto ne risentì solo in parte. A stupire il mondo, facendo qualcosa di straordinario, fu il sovietico di LeningradoVladimir Salnikov, il primo uomo a scendere sotto i quindici minuti nei 1500 metri. Nel nuoto femminile la solita storia, e solfa di polemiche e sospetti, con le donne androgine della DDR a dominare la scena, che fu prima anche nel medagliere della disciplina.
Giusto dare uno sguardo agli sport di squadre dove, oltre all’oro della Cecoslovacchia nel calcio, dell’Unione Sovietica nella pallanuoto, del doppio oro nella pallavolo dei sovietici, va menzionato l’argento degli Azzurri del basket, sconfitti dalla Jugoslavia.
In apparenza la nostra spedizione fu soddisfacente, grazie anche ai boicottaggi che ci diedero la possibilità di vincere ori probabilmente impensabili.
Già detto delle imprese di Mennea e Simeoni, nell’atletica Maurizio Damilano firmò il terzo oro vincendo la 20 km di marcia in modo rocambolesco, essendo stati eliminati i due battistrada che lo precedevano, Bautista e Solomin, arrivando così primo nello stadio.
Nei pesi super leggeri Patrizio Oliva battè sul ring il beniamino di casa, il kazako Serik Konakbaev.
Ezio Gamba decise di lasciare l’Arma per poter essere a Mosca e vinse il primo oro azzurro nel judo, disciplina che a partire da allora avrebbe riservato soddisfazioni. Luciano Giovannetti nel tiro, nella fossa olimpica per la precisione, vinse il suo primo oro, mentre Claudio Pollio fu vincitore nella lotta categoria stile libero 48 kg. Singolare invece fu la vicenda di Roman che partì senza supporto logistico da parte del Fise. Riuscì a vincere l’oro, ultima affermazione assoluta italiana nella disciplina. L’Italia vinse nel complesso quindici medaglie, non molte in più rispetto a Montreal (13), differenza che consistette nel peso di quelle più pregiate, otto, che cambiarono la prospettiva delle cose e ci collocarono al quinto posto nel medagliere, stravinto dai sovietici che si aggiudicarono ben ottanta medaglie d’oro.
Fu un’Olimpiade dimezzata, sessanta Paesi decisero di boicottare un’edizione che dal punto di vista qualitativo seppe comunque mostrarsi all’altezza.
Quattro anni dopo ci sarebbe stato il ben servito dai sovietici agli americani, che più o meno vinsero lo stesso numero di medaglie e che rinviavano la vera sfida all’edizione del 1988.