Più veloce, più lontano e con maggior profitti

Quattro anni dopo l’Olimpiade moscovita, i russi annunciarono, a poche settimane dall’inizio, che non avrebbero partecipato ai Giochi di Los Angeles. Il comunicato laconico, in francese, non dava seguito a una scelta così scontata. I sovietici avevano dichiarato che avrebbero preso parte ai Giochi Olimpici, in nome della distensione, affermando che la parola boicottaggio non rientrava nel loro vocabolario. Ma l’abbattimento da parte dei russi del volo della Korean Air lines 077, partito da Anchorage il 1° settembre 1983, colpito per aver violato lo spazio aereo russo, cambiò le cose. Subito la tensione crebbe e gli americani non vollero veder sfilare l’Unione Sovietica nel giorno dell’inaugurazione. Il diffuso sentimento anti-sovietico portò alla rinuncia alle Olimpiadi da parte di Mosca, seguita da altri quattordici Paesi del Patto di Varsavia, ad eccezione della Romania, che proprio in America avrebbe raggiunto il secondo posto nel medagliere. Nonostante le defezioni importanti degli Stati socialisti, su tutti ovviamente l’URSS, poi Germania Est e Cuba, Los Angeles fece registrare il record di presenze: 140.

Il vecchio Memorial Coliseum, quello dell’edizione del 1936, recuperato anche per motivi di risparmio (Los Angeles dovette affrontare una severa selezione) fu il palcoscenico di una pirotecnica e spettacolare inaugurazione, in perfetto stile americano, con la strabiliante esibizione di un uomo volante, che attraversò lo stadio grazie a un propulsore legato dietro alle spalle. Ancor prima degli dei vari protagonisti scontati del protocollo di inaugurazione, delle gare e degli atleti, a rubare la scena fu Peter Ueberroth, uomo d’affari e organizzatore della manifestazione, che trasformò le Olimpiadi in un affare da 270 miliardi di dollari, oltraggio all’ortodossia decoubertiana. Ma i tempi stavano cambiando un pò per tutti, ed ecco allora la commercializzazione dei diritti tv, il ritorno del tennis  e l’ammissione delle donne ad alcune discipline, tra cui la maratona, che conobbe il dramma della svizzera Gabriele Andersen Schiess, che impiegò più di cinque minuti per fare l’ultimo tratto della corsa, riportando alla mente la vicenda del nostro Dorando Pietri nella maratona di Londra 1908.

Carl Lewis, USA, Christian Haas, FRG, 100m

Jesse Owen sta a Berlino, come Carl Lewis sta a Los Angeles.

Il giovane atleta dell’Alabama, guarda caso come Owens, fu il protagonista incontrastato delle giornate americane. Quattro ori, come quell’Altro quarantotto anni prima. Il più veloce sui 100, sui 200 e nella staffetta 4×100. Suo il salto più lungo in pedana. Lo chiamavano il Figlio del Vento e, come quei supereroi marveliani, aveva una missione: correre più veloce e saltare più lontano. Avrebbe fatto incetta di medaglie anche dopo, ma intanto a Los Angeles godette di elogi e ammirazione. Ma non solo. Si attirò le antipatie di Daley Thompson, che sminuì le sue imprese e lo ridicolizzò, se così si può dire, con una maglietta mostrata in conferenza stampa. A prescindere da questo, Daley Thompson bissò il successo di Mosca nel Decathlon, con un nuovo record mondiale. Protagonista annunciato fu Edwin Moses, oro sui 400 ostacoli, il secondo dopo Montreal e forse sarebbe potuto essere il terzo senza il boicottaggio americano a Mosca. Quattro anni prima Lord Sebastian Coe invece c’era e a Los Angeles bissò il successo sui 1500 metri. Le assenze del blocco dell’Est privarono comunque i Giochi di alcuni protagonisti attesi, come lo zar dell’asta, Sergej Bubka. Mancarono le atlete della chiacchierata DDR e le sovietiche che diedero la possibilità alle americane di primeggiare, come nel caso della sprinter Evelyn Ashford, che vinse l’oro sui 100 metri, dopo aver perso le Olimpiadi di quattro anni prima, dove era data per favorita.
Appresa la notizia del boicottaggio, superò la delusione con una sbronza in compagnia del suo allenatore. Per la prima volta una donna africana e musulmana vinceva l’oro ai Giochi, Nawal El Moutawakel (400 ostacoli), mentre nella maratona il portoghese Carlos Lopes chiuse l’era Cierpinski.

In vasca il dominio a stelle e strisce fu netto e a splendere fu nei tuffi Greg Louganis che vinse dalla piattaforma dieci metri e dal trampolino.

Come capitò a Mosca, l’Italia sfruttò le assenze.

Clamorosa fu la vittoria di Andrei nel lancio del peso, come inaspettato e straordinario fu l’oro di Gabriella Dorio nei 1500. Alberto Cova si impose sui 10000 battendo il lungo Martti Vainio che per gran parte della gara aveva fatto da battistrada. Cova gli tenne testa e riuscì a superarlo in volata. Vainio fu anche squalificato per doping. Ma le gioie italiane non restarono relegate all’atletica. La scherma regalò ai nostri colori tre ori, con Mauro Numa sugli scudi con l’oro nel fioretto individuale e il supporto importante nella prova di fioretto a squadre. Anche la squadra di sciabola si aggiudicò l’oro battendo la Germania Ovest. Maurizio Stecca ebbe la meglio di Hector Lopez nei pesi piuma, mentre il piccolo Vincenzo Maenza aprì il suo ciclo di vittorie olimpiche con l’oro nella lotta greco-romana categoria 48kg. Oro furono la squadra di cronometro di ciclismo, Oberburger nel sollevamento pesi, e i fratelli Abbagnale e Peppino Di Capua nel due con. Daniele Masala ci introdusse nel magico mondo del pentathlon moderno, vincendo la prova individuale e guidando gli Azzurri nella prova a squadre. Se a Mosca non c’erano gli americani, a Los Angeles mancarono i russi, ma Giovannetti si riconfermò signore e padrone della fossa olimpica.

Altre medaglie di rilievo furono l’argento di Sara Simeoni nel salto in alto, di Ezio Gamba nel judo e di Maurizio Damilano nella marcia. Il bottino italiano fu quindi di quattordici ori, sei argenti e dodici bronzi, con l’Italia a chiudere quinta, nel medagliere stravinto dagli USA con ben 83 ori.

Los Angeles chiuse il “trittico” di edizioni segnate dai boicottaggi. Quattro anni dopo a Seoul le Olimpiadi sarebbero state davvero di tutti, ma grandi sconvolgimenti geopolitici si stavano preparando. La Cortina di Ferro era ormai sul punto di deflagare e dai suoi frammenti sarebbero nate nuove entità nazionali.