Oggi siamo andati a scuola e abbiamo imparato qualcosa, sorridendo…
Oggi (in realtà, lo scorso 25 novembre, ndr) noi studenti del Liceo Scientifico Nuzzi di Andria siamo andati a scuola e siamo tornati contenti. Sì, contenti! Sorridenti, anche leggermente attoniti e con l’espressione trasognata di quando si è reduci da una spensierata giornata di mare con gli amici o da un giro in macchina con il proprio ragazzo. Invece eravamo solo superstiti da un’altra giornata di studio.
Oggi siamo andati a scuola e abbiamo imparato qualcosa che non so ben definire, ma che sicuramente ci rimarrà impresso nella memoria più delle funzioni seno, coseno, secante cosecante, tangente e cotangente della goniometria.
Oggi il nostro auditorium ha ospitato l’autore Simone Giorgi per la presentazione del suo primo romanzo, L’ultima famiglia felice, edito della casa editrice Einaudi, insignito della Menzione speciale al Premio Calvino 2014. Mediatore del dibattito il Prof. Paolo Farina.
Simone Giorgi, tipo sciallo – diciamo noi – da un lieve e simpatico accento romanesco e una massa fisica non trascurabile di ricci voluminosi, non ha esattamente l’aspetto di un dotto propagatore di saggezza, quale invece si è rivelato. Si è subito mostrato amichevole e a perfetto agio davanti al pubblico di adolescenti, tanto che ha preferito svolgere l’incontro rispondendo alle nostre domande piuttosto che accantonandole per gli ultimi minuti, facendo dell’evento uno stimolante colloquio e un confronto, più che una conferenza. Lo abbiamo ascoltato ammaliati per quasi due ore. Non credo che la sua semplicità fosse il consueto atteggiamento di falsa modestia di molti suoi colleghi. Simone Giorgi, poco più di un ragazzo, con jeans destroyed e maglietta blu, ha scritto un libro. E quel libro ci è piaciuto tanto.
Il romanzo prende forma da un ricordo e dalle conseguenti riflessioni dell’autore riguardo ad un tragico episodio familiare raccontatogli da amici francesi su una spiaggia. Si svolge in un solo giorno, narra di una tipica (e, al contempo, atipica) giornata, specchio della vita, di una famiglia benestante dell’alta borghesia romana: Matteo Stella, il padre, è un uomo mite, indulgente e aperto al dialogo, persuaso di aver innalzato i pilastri di una realtà familiare serena. Tuttavia il comportamento dei figli, e in particolare di Stefano, il più piccolo, un ragazzino svogliato e stregato dagli ingombranti complessi pre-adolescenziali, suggerisce una infelicità di fondo che, per una somma di eventi casuali, diviene non più irrisoria entro la fine della narrazione, la quale sfocia in un finale catastrofico e poi catartico. La famiglia perfetta – afferma l’Autore – non esiste realmente. Qualsiasi felicità è un capolavoro, delicatissimo e difficile da gestire. La felicità nei rapporti interfamiliari può concretarsi solo nel momento in cui ciascun consanguineo giunge ad ammettere ed accettare che gli altri membri non possono essere ineccepibili. Da qui la scelta del titolo dello scritto, che sta ad evidenziare come non possa esserci una famiglia, intesa come specchio della società odierna, ideale. Anche l’ultima famiglia felice rischia di crollare. L’incontro fra i suoi membri può essere immaginato come quello fra rette parallele, che si incontrano nell’infinito. Ma la nostra vita non è infinita.
L’Autore definisce la storia un incessante accumulo di rabbia. La rabbia di Stefano per non avere modelli da contestare e superare: suo padre, architetto software, che cerca in tutti i modi di tenere sempre tutto sotto controllo, che vuole credere nel destino, ma in realtà non lo fa, pecca in mancanza di autorevolezza e mai impone le sue idee o prende posizione davanti ai due figli. È l’emblema della difficoltà di trovare un equilibrio “tra la seduzione e il totalitarismo”, per usare le parole stesse dell’Autore. Il dialogo che cerca di instaurare con i suoi figli è fittizio e sconveniente. Anche il filosofo Socrate, ha spiegato Giorgi, suscitava la rabbia dei suoi ascoltatori, poiché al termine di un colloquio portava il proprio interlocutore ad affermare ciò che egli sosteneva inizialmente. L’indulgenza di Matteo Stella non è stata di giovamento alla sua famiglia e neppure a sé stesso. Quando le illusioni crollano, egli è costretto a prenderne atto: “mettere le bombe in gabbia è il miglior modo per distruggere tutto”, si confessa infine, ammettendo che la sua mitezza è stata narcisismo e meschinità.
Simone Giorgi ci ha fatto riflettere su come la bontà di un padre ignavo possa trasformarsi in un’arma: un elemento di per sé ineccepibile può generare mostruosità e risolversi in un fallimento. Lo scrittore ha citato a tal proposito Pier Paolo Pasolini, che riteneva il fallimento non il problema, ma l’unica cosa esistente, l’unico momento dell’educazione in cui si impara. Il fallimento non è allora detestabile ma strutturale. D’altra parte la giusta autorevolezza di un genitore, come di un governo, non implica sottrazione di libertà. Al di là delle percezioni di noi adolescenti, la libertà non è sentire di poter fare tutto ciò che si vuole, ma di fare la cosa giusta per sé stessi.
L’Autore ha concluso spiegando anche l’apertura del finale del libro, nella cui tragicità la famiglia sembra aver riacquisto l’intesa andata precedentemente perduta, dichiarando di non avere un insegnamento da dare o una soluzione da apportare, se non l’intento di suscitare emozioni nel lettore, poiché “l’esperienza intellettuale è una esperienza emotiva”. Certamente un’esperienza da vivere, pagina dopo pagina.