«I maleducati sono noiosi, fanno sempre le stesse cose. Solo le persone garbate sono una continua meraviglia»
(Barbara Ronchi della Rocca)

Entravo in ascensore ed ero distratta, ero concentrata sulla voce che mi arrivava dall’auricolare e non avevo notato ci fosse un signore già in attesa. La mia telefonata era in chiusura, il signore all’arrivo dell’ascensore si è fatto da parte, mi ha lasciata entrare, mi ha chiesto a che piano andassi, ha pigiato il tasto per me, non ha detto una sola parola se non, all’arrivo ed in risposta al mio grazie: “Ma ci mancherebbe, una buona giornata”.

Capisco sembri una banalità, ma a me quel signore è rimasto impresso e mentre ci pensavo, davanti allo specchio, mi sono accorta di quanto io sia fieramente quarantaquattrenne: avessi vent’anni di meno, certe cose non le noterei poiché la galanteria semplice e la buona educazione sono state dimenticate molto prima, tanto da non sentirne più nemmeno il bisogno. Voglio dire, non fosse accaduto, non mi sarebbe mancato: è accaduto e l’ho piacevolmente notato.

Guardavo così il mio volto: si sono formati binari sulla fronte (treni di pensieri, vagoni di giornate, rotaie a cui ho sottratto cattiveria), parentesi tonde intorno alla bocca, il volto è come un lenzuolo su cui ha dormito la vita lasciandolo un po’ cincischiato. Mi sento lontana dalle pelli stirate con la caldaia a 200º, gli anni mi hanno s-colpita, bisognava lasciarli fare.

Dunque ero là osservavo quei segni, con loro ripensavo a quel signore e con lui nella mente ho ammesso che sì, essendo dichiaratamente e volutamente vintage, detesto la mancanza di tatto basico, di gentilezza, mi urta tutto ciò che è inutilmente fluido e non mi piace ciò che prende la forma del contenitore in cui si trova.

Rimpiango i tempi che abbiamo lasciato violentare da un progresso per troppi versi vergognoso e sento che ne siamo colpevoli: la mia è l’unica vera generazione ponte. Abbiamo iniziato a vivere quando il nastro si riavvolgeva con la matita e oggi sappiamo usare l’intelligenza artificiale. Siamo gli unici a conoscere davvero il prima ed essersi ritrovati in tempo per imparare bene ad usare il dopo in autonomia.

Siamo colpevoli dell’ineducazione, della rabbia gestita male, dell’aggressività anche solo nei toni di voce, dell’eccessiva protezione emotiva, dell’attaccamento al vil danaro, della disattenzione e della fretta, degli impegni sovrapposti, dell’egomania, delle facilitazioni ad ogni costo e per qualsiasi cosa (perché anche aprirsi un panino con il coltello lo abbiamo fatto diventare un atto da trentenni)… abbiamo prodotto una quantità incredibile di fallimenti e causato il quintuplo della fatica per chi ci ha seguiti.

Ci vergogniamo finanche della cosa più naturale del mondo: le rughe. Che lo so, magari ad alcuni potranno sembrare brutte, ma come diceva la Magnani, io ci ho messo una vita per farmele… guai a chi me le tocca, perché fosse necessario, potrei anche ridisegnarmele tutte.


FontePhotocredits: https://flic.kr/p/p3zCAp
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.