«Non vivo per me, ma per la generazione che verrà»
(Vincent van Gogh)
Caro lettore, adorata lettrice,
le parole di Van Gogh conferiscono un aroma preciso al nostro caffè, e d’altra parte possono essere interpretate in diversi modi.
Il primo è probabilmente quello che aveva in mente lo stesso Vincent e riguarda la capacità di immortalarsi nella memoria dei posteri per i meriti straordinari della propria arte o delle proprie gesta.
Il secondo, che francamente prediligo, è quello che sembra carente nella generazione dei boomer e dovrebbe riguardare la preoccupazione e la responsabilità per che tipo di mondo e di problemi stiamo lasciando alle generazioni che verranno.
Il terzo obbedisce al mio amato et et: perché ci può essere un modo per “passare alla storia” non necessariamente fondato sul culto del proprio io – penso a Foscolo, a D’Annunzio, allo stesso Van Gogh e … a tutti gli altri “primi della classe” – e che discenda invece dall’aver preso realmente a cuore il bene di chi incrociamo nel corso della nostra pur breve esistenza.
E qui mi vengono in mente i “grandi” della storia recente, Gandhi, Luther King, Mandela, Madre Teresa…, ma a anche gli “anonimi eroi del quotidiano” che hanno salvato il mondo avendo cura di tante singole vite, o anche di una sola, nel silenzio di ogni loro singola scelta e insistito sacrificio.
Penso ora alla mia maestra delle elementari e magari anche alla tua, a chi tiene pulita la mia strada sotto casa o a chi ti fa trovare il pane caldo la mattina in forneria: insomma, penso ai tanti che non passeranno alla storia, ma che la storia la fanno ogni giorno.
E penso a chi non vive solo per sé, eppur vive al meglio la propria vita, perché solo così si può vivere veramente per gli altri.
Quanto a Van Gogh, tormentato durante la sua vita da incomprensioni e difficoltà finanziarie, per quanto consapevole potesse essere della sua grandezza, non credo abbia potuto fino in fondo immaginare l’impatto immenso che la sua opera avrebbe avuto su tutti noi.
E tuttavia, senza nulla togliere alla meraviglia dei suoi quadri, credo che ciò che più ci “impressioni” della sua arte siano la sua passione per la vita, il suo lottare con la malattia mentale e la sofferenza, la sua costante ricerca della bellezza: gli stessi ingredienti, malattia mentale inclusa (…chi di noi non è “malato” e chi di noi è “sano”?) che potrebbero rendere unica e “memorabile” la nostra vita.
“Non vivo per me, ma per la generazione che verrà” potrebbe, dunque, essere tradotto anche così, tra Montale e don Tonino Bello: lascia una traccia, sia pure “madreperlacea”, del tuo passaggio nel mondo, fallo con le tue parole e con le tue azioni, con i tuoi sguardi e con il tuo essere un “volto rivolto”.
Fallo anche coi tuoi silenzi. Fallo insieme. E fallo da persona felice: perché è vero che è solo dando che si riceve ed è vero che solo insieme si è felici. In gratitudine.
Raoul Follerau: «Se non ci amiamo, ci distruggiamo».
Ferzan Ozpetek: «Non si può essere felici da soli».
Proverbio africano: «Se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme».
Più che una risposta un apprezzamento per questo bellissimo caffè che mi
fa cominciare bene questa domenica.
Grazie
Grazie di cuore, Lorenzo.