“Non avevo mezze misure, non è vero? Datemi del vino e dopo l’ultima goccia getterò la bottiglia vuota nel mondo… Mostratemi il nostro Signore in agonia e salirò sulla croce per togliergli i chiodi e metterli nei miei palmi… Eccomi qua, che mi allontano dal mondo a fatica, sgocciolando la mia saliva su una Bibbia…”
(The Libertine)
Iniziarono a parlare di DAS.
Dunque, si chiese, il DAS non è la pasta modellabile che consente di creare dal bassorilievo, al tuttotondo, fino al mosaico? Era pronta a giurarci: era andata decine di volte a comprarlo e sempre così lo aveva chiamato.
Ma quel giorno scoprì che, secondo quanto stavano dicendo, ogni volta in cui era entrata in cartoleria per fare quel genere di acquisto, convinta di prendere un oggetto artistico, aveva invece iniziato a comporre un puzzle che si sarebbe prima o poi palesato in tutto il suo essere fastidioso.
Comprava DAS modellabile e intanto componeva quell’altro DAS che pareva fosse suo e di cui nemmeno conosceva l’esistenza: Disturbo d’Ansia Sociale.
Che culo! Fosse stata meno ligia al dovere quando doveva studiare educazione artistica, cosa sarebbe accaduto? Si sarebbe ammalata di personalità istrionica?
Era quello il problema? Chi aveva comprato troppo DAS in cartoleria aveva sviluppato l’orticaria per i riflettori e chi non lo aveva fatto era diventato il re dello stare al centro dell’attenzione?
Domande inutili: Disturbo d’Ansia Sociale. La seccatura che derivava dallo stare al centro aveva un nome ed era riportato nel DMS-5! Mica pizza e fichi!
Addirittura, scoprì, era prevista anche la descrizione dell’ansia anticipatoria, ovvero quella cosina brutta che ti attanaglia con sei secoli di anticipo rispetto al giorno in cui dovrai fare qualsiasi cosa per cui dovrai avere una luce addosso e tutto dovrà svolgersi intorno alla tua persona. Si trattava di quella presenza odiosa che normalmente, invisibile, si siede con te sul divano, ti guarda e ti offre una birra, mentre tu senti il battito cardiaco accelerato, il fiato corto e tutto vorresti, salvo che bere luppolo alcolico.
Terminata questa improvvisa e precisa analisi di possibili ed inattesi disturbi, dopo essersi quasi riconosciuta nell’ennesima descrizione deviata e deviante, iniziò a cercarne le possibili cause; anche lì non mancavano le spiegazioni e tutte, tanto per cambiare, andavano a parare su un discorso solo: mancanza di autostima.
Fu a quel punto che tutti i “Che culo!” di cui sopra, si trasformarono in “Che palle!”; sì, perché tutto quanto non era vanagloria e presunzione, sempre si traduceva in bassa autostima. In ambo i casi la psicoterapia intravedeva profonda insicurezza e quasi quasi scattava Freud con l’idioma immancabile: “È colpa di tua madre”.
No, lì c’era qualcosa che non stava funzionando, qualcosa di sbagliato e doveva essere la necessità irrinunciabile di qualificare ogni benedetto modo di essere in modo da infilarlo in categorie deviate rispetto al normale.
In realtà lei, si disse, semplicemente e come chiunque, voleva sì essere vista, ma al contrario di moltissimi detestava essere guardata, poiché generalmente chi guarda non vede e a lei quel genere di spettatore non piaceva.
Ricordò in quel momento il monologo di apertura di un film che andò a vedere al cinema da ragazza e che in alcune sue parti recitava così:
“Consentitemi di essere esplicito sin dall’inizio.
Non credo che vi piacerò.
(…)
Non vi piacerò affatto! Non vi piacerò ora e vi piacerò ancor meno in seguito.
Signore, un avvertimento: io sono pronto a tutto!
In ogni momento!
Che sia merito o demerito, questo ora è difficile da dire.
(…)
Nessuna rima.
Nessun decoro.
Non era quello che vi aspettavate spero!
Sono John Wilmot. Il secondo Conte di Rochester.
E non ho alcuna intenzione di piacervi!”.
Era tutto lì, non era la bassa autostima il problema, ma la totale mancanza di stima per tutta una fetta di mondo. Era vero, aveva il DAS, aveva il Disturbo d’Ansia Sociale. Lo aveva e doveva sopravvivere, perché la sua era ansia dettata da tutte quelle persone che non avevano capito quanto il cervello umano fosse fantastico e pericoloso insieme, quanto fosse capace di manipolare le informazioni nel bene e nel male. Dettata da tutte le persone che non sapevano che, in fondo, ogni volta che apriamo gli occhi accade il miracolo, mentre noi vediamo solo ciò che il nostro cervello riesce a ricostruire e percepiamo solo una piccola parte di quello che abbiamo sotto gli occhi.
Ecco, lei non solo non voleva piacere a quel mondo, lei sapeva che mai avrebbe potuto piacere a quel mondo. Perché quel mondo non piaceva a lei.