Per aiutare il Paese a riprendere slancio, occorre sfruttare a pieno ogni singolo strumento – Mes, SURE, Next Generation Eu – non in provvedimenti tampone o in sussidi lanciati a pioggia, ma con uno sguardo riformista

Il 15 settembre scorso il Comitato interministeriale per gli Affari europei (CIAE) ha presentato le linee guida del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza piano con cui il Governo intende elaborare le strategie e le priorità per utilizzare al meglio le risorse ingenti del Next Generation Eu, al centro – nelle ultime settimane – di un delicatissimo negoziato di cui al momento ignoriamo gli esiti (e i tempi) in seno al Consiglio Europeo e al Parlamento UE.

Il piano della Commissione Europea da 750 miliardi non è l’unico strumento messo in campo dall’UE per rispondere alla crisi causata dalla pandemia.

Accanto al Next Generation Eu (che si finanzierà attraverso l’emissione di debito comune) troviamo i 1100 miliardi del QFP, il bilancio pluriennale dell’Unione per il periodo 2021-2027 e gli strumenti del Mes (Meccanismo europeo di stabilità, 240 miliardi per le spese sanitarie dirette e indirette), di Bei (Banca europea per gli investimenti) e SURE, 100 miliardi di garanzie statali per il mercato del lavoro e i rischi legati alla crisi occupazionale.

L’Europa – seppur in ritardo e dopo le drammatiche 4 notti del Consiglio Europeo in cui hanno rischiato di prevalere gli egoismi nazionali e gli interessi interni degli stati membri – ha risposto all’emergenza Covid con maturità e spirito di condivisione, nella consapevolezza che è impossibile restare legati alle logiche del passato in un mondo che non sarà più lo stesso dopo l’incubo pandemico.

Ma anche se al momento il negoziato per il bilancio pluriennale e per il Next Generation Eu sembra subire dei rallentamenti, il nostro Paese deve farsi trovare pronto per disegnare i piani di riforme e di spesa per fronteggiare non solo le conseguenze economiche e sociali che ci aspettano nei prossimi mesi, ma anche per pensare l’Italia dei prossimi 30 anni.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza di quaranta pagine, ruota intorno a 3 macro aree.

Modernizzare il Paese (anche attraverso la tanto promessa rivoluzione digitale), la transizione ecologica e l’inclusione sociale e territoriale.

Attorno a queste tre macro aree sono costruite le Missioni, cluster di intervento che vanno a individuare una serie di obbiettivi da raggiungere con le riforme e i progetti che dovranno essere predisposti nei prossimi mesi, che vanno dalla costruzione di infrastrutture moderne (alta velocità per esempio) alla trasformazione verde delle nostre città fino alla valorizzazione del turismo e della bellezza del nostro Paese. Non tralasciando – chiaramente – le riforme di cui questo Paese ha un bisogno vitale per tornare a correre, tra cui una riforma fiscale che renda il sistema fiscale italiano più equo e libero dall’eccessiva burocratizzazione e una non più rinviabile riforma della giustizia civile.

Queste riforme istituzionali pur se necessarie, potranno attendere i giusti tempi e le giuste liturgie del dibattito politico parlamentare.

Ciò che non può assolutamente aspettare i tempi della politica è l’emergenza economico-sociale e occupazionale che ci esploderà tra le mani tra poche settimane, a fine anno, con il termine del blocco dei licenziamenti.

Non saranno ancora arrivati i soldi del Next Generation Eu ma potremo contare – per rifinanziare gli strumenti di sostegno al reddito – su SURE, il dispositivo della Commissione Europea – già attivato dal Consiglio – che ci permetterà di continuare a proteggere gli italiani in difficoltà e investire su politiche attive per ricollocare i lavoratori che avranno perso il lavoro.

La riforma degli ammortizzatori sociali è già al tavolo della trattativa tra Governo e parti sociali e nei prossimi mesi dovrebbe portare alla nascita di uno strumento di sostegno al reddito universale e a un diverso cambio di approccio nelle politiche del lavoro italiano, incentrate – storicamente- esclusivamente sulla protezione dei lavoratori e non sul loro futuro lavorativo.

Un futuro che – per molti lavoratori – rischia di vederli definitivamente espulsi dal mercato del lavoro.

Occorrerà investire nella formazione di questi lavoratori accompagnandoli ad acquisire nuove competenze per aiutarli a incrociare domanda e offerta di lavoro che il mercato – grazie a sostanziosi investimenti pubblici e privati – dovrà gestire nei prossimi anni nei settori che saranno maggiormente coinvolti dalla ripresa economico-occupazionale.

Parliamo dell’economia circolare, del ciclo dei rifiuti, delle ristrutturazioni edilizie e delle riconversioni energetiche al centro della transizione verde e che già prima della crisi sanitaria erano obiettivi dell’European Green Deal.

A questo si aggiungerà nelle prossime settimane il nuovo piano della Commissione per la rivoluzione urbanistica, il Renovation Wave.

Sulla rivoluzione verde e sul recupero delle nostre aree urbane insiste il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che invita le città e i comuni italiani a dotarsi di nuove agende urbane per sfruttare a pieno le opportunità che arriveranno nei prossimi anni non solo nel campo ambientale, ma anche per la riqualificazione delle periferie e delle aree dismesse.

Piani che – oltre a rigenerare e colorare di verde le nostre città e i nostri paesi, se accompagnate da progetti strutturati e con governance ridotte al minimo per evitare ritardi e inefficienze, creeranno migliaia di posti di lavoro.

È quello del lavoro è il tema cardine di ogni piano di ripresa.

Non possiamo sbagliare. Per aiutare il Paese a riprendere slancio, occorre sfruttare a pieno ogni singolo strumento – Mes, SURE, Next Generation Eu – non in provvedimenti tampone o in sussidi lanciati a pioggia, ma con uno sguardo riformista che guardi al futuro per disegnare – dal punto di vista sociale, lavorativo, ambientale, istituzionale e valoriale – il Paese che verrà.