Gran parte della società moderna si fonda sulla distorsione del concetto di “libertà d’opinione”.
Mi spiego: supponiamo che ci siano due soggetti A e B che discutono in merito ad una questione X. A sostiene di essere favorevole a X, elencando tutti i motivi per cui, ragionevolmente, è giunto a tale conclusione. B, invece, dichiara di non essere favorevole a X e, sollecitato da X a fornire delle motivazioni per il suo dissenso, si trincèra dietro la frase: “Questa è la mia opinione, sono libero di pensarla come voglio”.
Questo atteggiamento, che in filosofia prende il nome di relativismo conoscitivo, si manifesta in gran parte della popolazione, a dimostrazione del fatto che la sfiducia nell’essere umano non è poi così immotivata.
In realtà, questo modo bizzarro di interpretare la “libertà d’opinione” ha pure una sua logica: siccome la realtà è multiforme, non esiste una prospettiva privilegiata da cui osservarla perché le prospettive di osservazione sono infinite. Non si ha una verità oggettiva, fissata a priori una volta per tutte, perchè ognuno ha una propria verità che nasce dal suo modo soggettivo di vedere le cose. Che detto così sembra pure che abbia una sua logica, se non fosse che questo atteggiamento viene usato solitamente per mascherare la totale mancanza di argomentazioni valide (vedi anche ignoranza) del nostro novello relativista.
Nella sua testa, pare che si instauri un meccanismo implicito che funziona pressappoco così: su questa questione ho un’opinione, ma se mi chiedi di giustificarla non lo so fare perchè non è il frutto di un mio ragionamento bensì di un insieme di retaggi morali/culturali/sociali/religiosi che mi sono stati trasmessi e che, per comodità, ho dato per assodati senza verificarne il fondamento logico-razionale. A questo punto, siccome farei una brutta figura se mi definissi ignorante in materia o ammettessi di pensarla così perchè i miei genitori la pensano così, preferisco improvvisarmi un Voltaire de’ noantri difendendo a tutti i costi (di solito si difende qualcosa sotto attacco, ma non è questo il caso) la libertà di pensarla come mi pare perchè “siamo o non siamo in un paese libero?”
Ora, a parte il fatto che la tua libertà finisce dove inizia la mia di mandarti a quel paese, ma davvero non riusciamo a cogliere la più elementare e lapalissiana contraddizione di questo modo di pensare, diventato per molti addirittura una filosofia di vita? Davvero non riusciamo a comprendere che, nel momento in cui affermiamo che “non esistono verità assolute, solo opinioni soggettive che costituiscono, per ciascuno, la propria verità” stiamo stabilendo, noi stessi, una verità assoluta?
Viviamo in una società in cui il pensiero dominante sembra essere sempre più simile al bipensiero Orwelliano; in cui tutto, all’occorrenza può essere il contrario di tutto e dove il pensiero critico è in via d’estinzione, sostituito sempre più velocemente da modi di pensare calati dall’alto o acquisiti da altri senza batter ciglio.
Avere delle convinzioni chiare, delle idee motivate per cui battersi razionalmente, viene spesso etichettato negativamente come fondamentalismo o assolutismo. Al contrario il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là dal pensiero comune dominante, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie e/o convinzioni (siccome IO la penso così, allora quello che penso è giusto).
Il relativismo, sia esso gnoseologico o etico, è una condizione necessaria e sufficiente per la manipolazione dell’uomo. Nel momento esatto in cui perdiamo la capacità di analizzare un concetto per discernere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, preferendo esprimere opinioni utilizzando schemi mentali pre-impostati, stiamo abbandonando il nostro stato di “animali pensanti” e ci stiamo trasformando in macchine programmabili.
Esistono, che ci piaccia o no, delle verità oggettive, dei criteri che definiscono convenzionalmente ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è vero e ciò che è falso. Ammettere questo assunto fandamentale non esclude la possibilità, per ciascuno, di avere delle opinioni divergenti dagli altri su un determinato argomento, purchè tali opinioni siano fondate su delle basi oggettivamente riconosciute e non argomentate sul nulla. Per intenderci, se ammettessimo la possibilità che il relativismo sia corretto, domani io potrei andar in giro affermando che gli asini volano, e a chiunque provi a controbbattere potrei rispondere: “Ma questa è la mia opinione, chi sei tu per dire che gli asini non volano?”
Meno banalmente, il rischio che si corre è questo:
“Sapere e non sapere; credere fermamente di dire verità sacrosante mentre si pronunciavano le menzogne più artefatte; ritenere contemporaneamente valide due opinioni che si annullano a vicenda; sapendole contraddittorie fra di loro e tuttavia credendo in entrambe, fare uso della logica contro la logica; rinnegare la morale propria nell’atto di rivendicarla; credere che la democrazia sia impossibile e nello stesso tempo vedere nel Partito l’unico suo garante; dimenticare tutto ciò che era necessario dimenticare ma, all’occorrenza, essere pronti a richiamarlo alla memoria, per poi eventualmente dimenticarlo di nuovo. Sopratutto, saper applicare il medesimo procedimento al procedimento stesso. Era questa, la sottigliezza estrema: essere pienamente consapevoli nell’indurre l’inconsapevolezza e diventare poi inconsapevoli della pratica ipnotica che avevate appena posto in atto” (G. Orwell, 1984).