LA STRAGE DIMENTICATA
Sono passati vent’anni dalla strage di Nassirya e in questi giorni, con una certa freddezza, giornali e telegiornali hanno fatto le consuete commemorazioni, come da routine.
Ho avuto la possibilità di intervistare Riccardo Saccotelli, ex militare sopravvissuto a quella tragedia. Iniziamo a scambiarci alcune considerazioni e lui butta giù alla rinfusa, come da premessa, alcuni punti su cui avremo modo di parlare.
Riccardo era impegnato nell’operazione di peacepeeking Antica Babilonia, iniziata a luglio del 2003 e mi chiarisce subito alcune cose: ”Antica Babilonia era in realtà un’operazione internazionale di soccorso umanitario. Era la prima missione che portava questo tipo di denominazione e non era un’operazione di peacekeeping, ma umanitaria, che per assurdo ha portato al maggior numero di vittime, perché fintamente umanitaria in un territorio guerreggiante, in cui c’era ancora la guerra. I compiti erano quelli di ricostruire dighe, ponti, scuole, rifare l’asfalto, distribuire e rendere l’acqua potabile. Almeno sulla carta. Poi in realtà sappiamo tutti, in maniera precisa e disillusa, che l’ENI aveva degli interessi economici ben precisi su quel territorio”.
Restringo il campo sulla sua esperienza e gli chiedo come quell’attentato abbia segnato la sua vita e se, dopo quell’evento, abbia partecipato ad altre missioni. Dalle sue parole traspare una delusione per nulla celata: “Non ho partecipato ad altre missioni. Ho lottato in ogni modo per continuare a rimanere in servizio operativo. Questo si è reso impossibile e ovviamente sono stato riformato, ma non mi sono opposto in nessun modo alla riforma. È un episodio che ti segna la vita per due motivi: innanzitutto perché ricordi tutto quello che ti è accaduto, non solo in maniera consapevole, ma in qualsiasi momento, nei ricordi, negli incubi, nell’emozioni; poi perché lo Stato italiano è abituato a una vittimizzazione di secondo livello, quella particolare attitudine alla non cura, se non addirittura al maltrattamento delle sue vittime. In tutte le stragi italiane, in situazioni diverse, lo Stato si è defilato, per poi riapparire contro le vittime. È quindi questo il ricordo dei ricordi, l’essere ancora vittima, anche quando magari quei momenti non tornano e riesci a stare in pace con te stesso”.
A questo punto decido di fare una domanda audace, qualcosa su cui ho riflettuto molto in questi giorni e sul quale posso avere un importante riscontro: “Alla luce degli esiti fallimentari dei conflitti in Afghanistan, dove i talebani hanno fatto il loro ritorno, e in Iraq, nel quale regna l’assoluto caos, ritieni che sia valsa la pena sacrificare o mettere a rischio delle vite?”.
”La mia vita non è valsa per questo Paese, per questa Nazione o Patria. Chiamalo come vuoi. Non credo che lo Stato abbia meritato il mio sacrificio, il mio sangue, perché lo ritengo indegno. Parlo ovviamente per me. Non ha meritato il mio sacrificio e, se allargo il mio sguardo ai miei amici, mi rendo conto che sono morti ancora per uno Stato ingrato, e se ancora allargo lo sguardo all’intera missione, dico ancora che non è valso perché, se guardiamo a oggi, a ciò che ora è l’Iraq, notiamo un Paese di cui non se ne parla più, destabilizzato e dove gli attentati avvengono quotidianamente.
Non credo che abbiamo esportato la democrazia. Le armi di distruzione di massa non sono state mai trovate. Le mie sono considerazioni storiche non politiche, su ciò che è, su un ritorno umano che riguarda la popolazione irachena che mi ha salvato la vita. Loro mi hanno salvato la vita.
Non è stato un successo né politico né economico, né tanto meno la vittoria delle alleanze internazionali. Per una questione di comodo, queste missioni vengono chiamate di guerra o di pace, a seconda delle ideologie e della bandiera politica che produce diversi nonsense. È incredibile che un governo di destra ci abbia mandato a fare una missione umanitaria che al contrario era una missione di guerra. È un nonsense. Queste sono guerre economiche.
È l’ipocrisia della società in cui viviamo, di ciò che abbiamo costruito con il progetto dell’Unione Europea, che decide al di sopra delle altre entità nazionali e che si basa su un contratto sociale molto labile che andrebbe rivisto perché si regge su un filo molto sottile. Colpa della propaganda di una certa sinistra.
Oggi si vuole uno Stato che colpisca i più deboli, che dimentichi, in un contesto in cui le classi sociali e le ideologie di una volta non esistono più.
Oggi ci dividiamo in due categorie, forti, approfittatori e furbi contro poveri, fessi e deboli, i quali soccombono in silenzio, senza nemmeno far sapere che hanno subito un’ulteriore ingiustizia, perché manca oggi quella funzione giornalistica del racconto, di quella storia che dovrebbe coinvolgere tutti”.