«Non c’è niente di speciale nella scrittura. Devi solo sederti davanti alla macchina da scrivere e metterti a sanguinare»
(Ernest Hemingway)

Doveva lavorare, aveva bisogno di attirare la loro attenzione e farlo a modo suo, specie ora che molte classi avevano i monitor al posto dei muri. Ricordò che aveva 14 anni quando si ritrovò a voler leggere per la prima volta le vicende di Dorian Gray e, conoscendosi, pensò che doveva aver per forza sottolineato qualcosa. Così, si mise alla ricerca della copia che aveva allora, la prima copia, non quelle che aveva avuto successivamente e riletto. Le serviva quella, con i segni della sua adolescenza. Ciò che le serviva era la risposta ad una domanda: veramente quel testo avrebbe avuto una ragion d’essere per i suoi studenti adolescenti, in barba agli scarti generazionali?

Così scoprì che i segni, a matita, li aveva effettivamente lasciati: lei eri già lei ed il suo modus era già il suo modus. Ma trovò anche una cosa che generalmente, anche ora che la geriatria la guardava sogghignando, non usava con leggerezza: levidenziatore giallo.

Non smettere. Ho bisogno di musica stasera. Mi sembra che tu sia il giovane Apollo e io Marsia che ti ascolta. Ho i miei dolori, Dorian, dolori di cui non sai nulla. La tragedia della vecchiaia non è l’essere vecchi, ma l’essere giovani. La mia sincerità a volte mi stupisce. (…) Mio caro ragazzo tu cominci a moraleggiare. Presto ti dedicherai alla conversione delle anime e al risveglio religioso degli spiriti, mettendo in guardia il mondo contro tutti i peccati di cui ti sei stancato. Sei troppo incantevole per farlo. Inoltre, è inutile. Tu ed io siamo quello che siamo, e saremo quello che saremo. Quanto al fatto di essere avvelenati da un libro, è una cosa che non sta né in cielo né in terra. L’Arte non ha alcuna influenza sull’azione. Annienta il desiderio di agire. È superbamente sterile. I libri che il mondo chiama immorali sono libri che mostrano al mondo la sua vergogna. Ecco tutto”.

Rimase a guardare quei segni gialli come fossero stati  interi campi di girasoli, fino a che le lettere non si fecero sfuocate, lasciando che il suo sguardo andasse oltre, molto oltre. Pensava di aver trovato la risposta alla domanda iniziale in quel campo fiorito, ma aveva ingenuamente sottovalutato il fatto che i ricordi sì scavano nel passato, ma ricostruiti sulle esigenze del presente.

Un presente che arrivò puntualissimo a spiegarle perché quel libro, certamente, preso dal verso giusto, avrebbe sortito l’effetto desiderato: giunse un messaggio sul suo cellulare.

Eccolo:

Prof, non mi chieda come ho fatto ad avere il suo numero, perché sa più di me che non glie lo dirò; da stamattina sto pensando alle parole che ha detto nei nostri confronti. Ho detto che avevo gli occhi lucidi, per non dire che mi stava venendo da piangere, perché mai nessuno ci ha detto queste cose (…) Le ho scritto per dirle veramente Grazie di tutto: lei è diversa da tutti perché ci capisce e proprio per questo parlerò sempre di lei.

Era un adolescente, era maschio (e lo dico per surclassare lo stereotipo che fa credere le ragazze scrivano più facilmente, nonché per sottolineare che l’assenza dell’apostrofo dopo l’articolo indeterminativo non era un errore), era una “bestia” finita fuori dal seminato che doveva adempiere l’obbligo scolastico, era meravigliosamente ingenuo per certi versi  (com’era bello che fosse) e, soprattutto, sapeva fantasticamente scrivere

Se so che sei Daniele, anche se non ti sei firmato, so anche come hai avuto il numero, banana! Ti pare non mi venisse chiesta autorizzazione? Le regole! Non lomertà. Al di là di questo, invece di parlare “di me”, io desidero che parliate “con me”.

Vi voglio bene!

P.s. Noto con piacere che sai proprio scrivere… dobbiamo assolutamente provare a far fruttare queste vostre doti nascoste.

P.s.2 (…) Sai quando sarà il momento del vostro vero: Grazie prof.?”. Quando tutti potranno dire che il vostro corso ha iniziato con il piede sbagliato, ma ha tirato fuori talenti! E dovranno rimanere tutti a bocca aperta. Ci lavoriamo insieme a questo, perché io ci credo! E il regalo che voglio e che ci crediate anche voi.

Un abbraccio. A venerdì. La prof.

 

Narciso, così si era presentato il primissimo giorno Daniele, che l’aveva fissata con il sopracciglio alzato e il ghigno di chi era sicuro di saperla lunga, aveva fatto qualcosa che molto raramente esseri umani, anche di ben altra levatura (mah… levatura!), riuscivano a fare: sorprenderla. E sorprendendola renderla orgogliosa. E rendendola orgogliosa, nutrirla. Nutrire le sue speranze, rispondere ai suoi perché, dare forza alle sue debolezze e spinta alle sue motivazioni. In altre parole, Narciso aveva preso il mordente della sua prof. e lo aveva spedito dritto su Marte!

Prof., fatto sta che ha fatto tanto, con così poco. A venerdì.

E lei lasciò le cose così, voleva decantassero come il migliore dei vini pregiati. Tu ed io siamo quello che siamo, e saremo quello che saremo, aveva scritto Oscar Wilde. Invece loro, quei ragazzi, pur essendo quel che erano, potevano ancora diventare qualsiasi cosa avessero voluto! E in alto, era lì che dovevano puntare: in alto.

Aveva deciso, questo avrebbe insegnato loro: a chiedere 100, per ottenere sempre almeno 80.

Ciò che non avrebbe svelato era che quel giorno lei era stata molto più fortunata: come sempre aveva chiesto 100, ma aveva ottenuto 110! E la lode? Quella era per Daniele, ma non c’era fretta. La strada era lunga, tortuosa e molto, molto maltenuta. Eppure, un giorno lo avrebbe capito da solo e sarebbe stato fiero di sé.

E quel giorno, intanto pregava, anche lo sguardo ormai spento di un suo compagno troppo sconvolto dalla vita sbagliata, si sarebbe riacceso. Lo aveva conosciuto che era fastidioso e sveglio come un grillo, adesso si era accasciato e forse non lo si poteva biasimare.

Ecco, le potenze nascoste come quella di Daniele, tirate fuori, avrebbero potuto darle una mano anche a riportare la fiamma rubiconda, che il gelo di una giornata tagliente, aveva spento in quegli altri due occhi, troppo giovani per rassegnarsi a lasciarli morire così.

Signori, una prof. è una prof., dei suoi alunni non ne perde di vista nemmeno uno.

A tal proposito, mi trovo a riflettere, quando Gesù era un bambino, nella sua terra vivevano i pastori che passavano tutta la giornata da soli con le loro pecore ed imparavano a riconoscerle tutte, dando a ciascuna il proprio nome. Potere della metafora, Gesù faceva lo stesso con le persone.

Dunque, sequela Christi, credo sia questo ciò di cui stiamo parlando.

Da Oscar Wilde a Gesù Cristo, passando per il mito.

Se non ha fatto un gran bel viaggio la prof. quel giorno, ditemi voi cos’è un bel viaggio. Io mi fermo qui. È stato bello.


Fontehttps://pixabay.com/it/photos/girasoli-prato-campo-fiori-petali-5645039/
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.