
Riflessioni semiserie su un’integrazione possibile: tra Nutella e preghiera.
La figlia spiega alla madre che si è fidanzata con un ragazzo musulmano, ha deciso di convertirsi e così ha cambiato anche abitudini alimentari. E allora la madre “però ‘a Nutella t’a mangi ‘o stess’“. E lei: “e che c’entra, mica c’è il maiale nella Nutella”. È una delle tante battute, divertite quanto ficcanti, di Napolislam. Uscito l’anno scorso ad opera di Ernesto Pagano, Napolislam è un documentario che racconta la vita quotidiana di 10 napoletani convertiti alla religione di Maometto.
In Italia i musulmani sono oggi 1 milione e 700 mila, meno di un terzo dei 5 milioni di stranieri presenti nel nostro Paese. Di questi, i nostri connazionali convertiti sono stimati fra i 50 e i 70 mila. Le regioni che vedono la presenza più massiccia di fedeli ad Allah in proporzione alla popolazione residente sono Lombardia, Emilia Romagna, Valle d’Aosta, Trentino, Sicilia, Piemonte, Marche, Umbria. Sorprendentemente non c’è il Lazio, anche se a Roma ci sono 100 mila musulmani su 400 mila stranieri.
I numeri, come è facile notare, ci parlano di una minoranza, pur all’interno della popolazione immigrata. Non esiste alcuna invasione islamica, eppure la presenza di musulmani nella Penisola può considerarsi consolidata. Nonostante ciò, le moschee riconosciute su tutto il territorio nazionale sono solo 4, mentre sono 164 quelle con sede in garage, cantine, ex magazzini. Sono invece 400 le associazioni culturali islamiche.
A Napoli, come in diverse altre aree d’Italia, “l’integrazione è ormai una realtà”, spiega Pagano. “Certo questo dipende anche dalla natura di Napoli” continua il regista ed esperto d’Islam “con luoghi come piazza Mercato, dove c’è la moschea e contemporaneamente il culto della Madonna Bruna, che è un vero laboratorio d’integrazione”. Napolislam ha il merito di raccontare in 70 minuti come sia possibile tutto ciò.
I convertiti di cui si parla sono persone certo con una peculiare sensibilità, ma non particolarmente acculturate. Non sono giunti a giurare fedeltà al Corano a seguito di sofisticate sintesi teologiche, più che altro sono stati spinti a farlo dalla vita stessa. Questo, se vogliamo, rende il fenomeno ancora più interessante. “Non è che Napoli sia una città che per forza include. […] Però ha la capacità di prendere qualunque oggetto e di osservarlo. Lo studia e poi decide se buttarlo via, se prenderlo in giro, fargli una carezza o un commento di apprezzamento. E secondo me questo modo di convivere è possibile solo qui”, conclude Pagano.
E infatti le tipologie d’Islam accolte dai vari personaggi sono le più diverse. C’è la coppia che si dà a quello sunnita più diffuso, quella che ne accoglie la versione più austera wahabita, il giovane in odor d’integralismo già raggiunto da denunce e provvedimenti giudiziari, il ragazzo che concilia Corano e musica hip-hop, l’uomo che ha vissuto e studiato 6 anni a Medina, parla perfettamente l’arabo, ma con cadenza partenopea. Tutti vivono la conversione come una personale liberazione, come per tutti la sfida più grossa è quella far capire che l’Islam non è terrorismo.
Toccare l’argomento è inevitabile. La stessa uscita del documentario, prevista in 15 sale per il 15 novembre 2015, fu sospesa e rimandata a seguito dei fatti di Charlie Hebdo. Appare chiaro, ascoltando le testimonianze dei protagonisti, come le ripercussioni più durature degli attentati finiscano per subirle proprio i musulmani europei. Sembra confermarlo anche una recente inchiesta de L’Espresso: “Musulmani in segreto”. Nell’articolo si fa luce sulle storie d’italiani convertiti all’Islam, e per questo ripudiati, diseredati, abbandonati dalle loro famiglie, considerati alla stregua di terroristi.
In realtà, come si evince guardando la pellicola, pochi sanno spiegare effettivamente le ragioni della loro conversione. Tutti parlano del coincidere di una serie di situazioni e poi di un sentimento indefinito che li ha pervasi, seguito da un senso di libertà e sicurezza. La chiave di lettura migliore la fornisce forse una vecchietta intervistata a un certo punto nel film. Seduta davanti casa sua in una stradina del rione Sanità, la signora guarda i musulmani pregare lì nella sua via. In favore di telecamera poi commenta “loro lasciano tutto e vanno alla messa, noi andiamo a messa solo in caso d’emergenza”. Succede che a volte, pur in un modo razionale e tecnologico come il nostro, l’esigenza metafisica diventi un’emergenza. L’Islam, allora, sembra poter offrire risposte con un senso di rigore e dignità di cui, forse, altri tipi di fede non sono più capaci.