L’alfabeto di Dante

Percorrendo la montagna sacra del Purgatorio, Dante sin da subito si accorge di quanto difficoltosa sia la salita che deve sostenere. Questa fatica dice simbolicamente le difficoltà che l’uomo sulla terra incontra quando decide di vivere secondo la ragione, rappresentato nel poema da Virgilio. Non deve stupire allora che sia proprio Virgilio a richiamare Dante sulla retta via, su quel «cammin» (Inf. I, 1) che già una volta aveva smarrito e che ora, giunto nel secondo regno, diventa più impegnativo perché più forte è la lusinga delle cose terrene.

Quando Dante incontra Casella, suo amico e uomo d’arte, egli è tentato di riascoltare quelle dolci melodie che già in vita egli aveva apprezzato:

E io: «Se nuova legge non ti toglie
memoria o uso a l’amoroso canto
che mi solea quetar tutte mie doglie,
di ciò ti piaccia consolare alquanto
l’anima mia, che, con la sua persona
venendo qui, è affannata tanto!» (Purg. II, vv. 106-111).

La risposta di Casella, disponibile e sempre pronto nei confronti dell’amico, non tarda ad arrivare:

   Amor che ne la mente mi ragiona
cominciò elli allor sì dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Lo mio maestro e io e quella gente
ch’eran con lui parevan sì contenti,
come a nessun toccasse altro la mente (Purg. II, vv. 112-116).

Ora, al lettore attento non deve sfuggire quel «se nuova legge» che con sottile ironia Dante poeta pone sulle labbra di Dante personaggio nell’invito rivolto a Casella. La «nuova legge» del purgatorio, infatti, prevede un altro canto, il salmo 113 che tutte le anime cantano all’unisono quale segno della loro concordia e della speranza che le accomuna nel cammino verso la salvezza:

   In exitu Israel de Aegypto
cantavan tutti insieme ad una voce
con quanto di quel salmo è poscia scripto (Purg. II, vv. 46-48).

E dobbiamo altresì ricordare che la salita lungo la sacra montagna non può essere per nessun motivo arrestata perché il purgatorio è l’unico regno ad essere scandito dal tempo e dall’alternarsi della luce e delle tenebre. Se nell’inferno tutto è fissato per l’eternità, e nel paradiso non vi è che Dio, colui nel quale «s’appunta ogni ubi e ogni quando» (Par. XXIX, 12), nel secondo regno, invece, l’andare delle anime è un vero e proprio pellegrinaggio, un cammino fisico e spirituale che non può subire soste o rallentamenti. Compito dei pellegrini è quello di affrettarsi sulla via della purificazione per diventare puri e disposti a salire le stelle. Questa fretta dice l’ansia del Paradiso, il desiderio di poter finalmente godere della visione di Dio, ora interdetta a causa dei vizi che ne appesantiscono il cammino, come sulla terra avevano appesantito il cuore. Da qui il duro rimprovero di Virgilio:

Noi eravam tutti fissi e attenti
a le sue note; ed ecco il veglio onesto
gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?
qual negligenza, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
ch’esser non lascia a voi Dio manifesto» (Purg. II, vv. 118-123).

Catone, il custode del Purgatorio, ricorda alle anime che non possono arrestare la loro corsa. Le sue parole («spiriti lenti», «negligenza», «stare») illustrano una sosta fisica del cammino ma soprattutto quella spirituale che costituisce un atto di negligenza. A riguardo è utile citare l’etimologia di negligenza secondo Agostino:

«Nella lingua latina, che cos’altro è negligitur [si trascura] se non ciò che non legitur, cioè non si sceglie? Perciò anche gli autori latini hanno detto che legem [la legge] deriva da legere [scegliere]. Da questi indizi si deduce in certo qual modo che delinquit [pecca] chi derelinquit [abbandona] il bene e, abbandonandolo, decade dal bene poiché lo trascura, cioè non l’ha a cuore».

Con Agostino possiamo far consistere la negligenza di Dante nell’aver trascurato quel bene sommo, Dio, che è la «nuova legge» del Purgatorio a cui fa riferimento proprio Dante nelle parole che rivolge a Casella. Come abbiamo già detto, questa nuova legge è quella della corsa attraverso le sette cornici della montagna sacra, che non ammette soste o ritardi. Dante, e con lui le anime appena sbarcate, sono «peregrini» – cosi Virgilio al v. 63 – impegnati a portare a termine il processo salvifico della purgazione; per cui ogni loro «stare» (v. 121) li distrae dalla ricerca del bene supremo. E mentre è Casella a riconoscere Dante ed è quest’ultimo a chiedergli di consolarlo con la sua musica, a pagarne le conseguenze non sono solo loro due, bensì tutte le anime. Come infatti all’arrivo sulla spiaggia «cantavan tutti insieme ad una voce» (Purg. II, 47) l’inno dell’esodo, così ora sono «tutti fissi e attenti» (Purg. II, 118) alle note di Casella.

Anche oggi la negligenza macchia la coscienza dell’uomo. Pensiamo a quanti non pongono la giusta attenzione o la dovuta vigilanza nell’esercizio del loro dovere quotidiano. C’è chi per una firma d’ufficio che stenta ad arrivare, è condannato ad una vita povera o limitata; c’è chi gioca meschinamente al rimbalzo delle responsabilità evitando le proprie. In tempi di coronavirus, poi, un banale atto di disattenzione può rivelarsi fatale per la vita dell’altro. La «nuova legge» di cui parla Dante dovrebbe diventare la regola di vita e il fondamento di ogni umana convivenza: correre sulla via della solidarietà e della compassione, senza lasciare indietro nessuno.

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Mi chiamo Michele Carretta, sono nato il dieci Aprile del 1986 e vivo ad Andria. Figlio unico, credo nei valori alti della famiglia, dell’amicizia, l’amore e in tutto ciò che umanizza la vita e la rende più bella. Mi piace leggere, andare al cinema, suonare e ascoltare musica. Attualmente sono laureando in Letterature comparate, con una tesi sulla Divina Commedia e il Canzoniere di Petrarca, e direttore dell’ufficio Musica Sacra della Diocesi di Andria.