Definirsi umanisti in epoca informatica è ormai fuori moda.

Definirsi umanisti in epoca informatica è ormai fuori moda. Tutto ci raggiunge nell’immediato, le notizie vagano nell’etere ad una velocità spasmodica e non possiamo fare a meno di sapere vita, morte, miracoli e, soprattutto, gossip di coloro che nutrono la nostra conoscenza.

Ora immaginate i settimanali sparsi sul mobiletto di una qualsivoglia sala d’attesa, portateli indietro di qualche secolo ed avrete il quadro esatto dello scandalo che, a fine Settecento, travolse i destini di Foscolo, Omero, Achille, Agamennone, Ettore, Paride ed il nostro amico Odysseo.

Oh, sia ben chiaro, io non vi ho detto niente eh, ma pare che quando Ugo Foscolo si cimentò nella trasposizione italiana di Viaggio sentimentale, opera biografica di Lawrence Sterne, il fattaccio fosse già ben che accaduto. Certo, ci sono desideri che emergono dal profondo, quelli che non puoi  sopprimere, quelli che un neoclassicista deve necessariamente assecondare. Perciò Vincenzo Monti decise di lavorare a qualcosa di impensabile, di letteralmente impossibile da realizzare. Dalla spiccata sensibilità romantica, il drammaturgo italiano aveva coltivato da tempo, grazie anche alle assidue frequentazioni di corti papali prima e napoleoniche poi, l’idea di lasciare alla propria nazione un regalo unico, il testo omerico per eccellenza, endecasillabi sciolti derivati dall’incomprensibile epos orale.

L’Iliade, infatti, non descrive solo la cronaca di eventi legati alla guerra di Troia, bensì indaga nell’intima coscienza dei suoi protagonisti. La metrica abbellisce, in terzine ed accenti, la rapida successione di aneddoti, in parte mitizzati, ma tipici della caducità umana. Passione, lealtà, coraggio e tradimenti erano all’ordine del giorno in quel di Ilio ed Elena, forse, non era l’unica responsabile di un così immane conflitto. Lungi da noi qualunque forma di maschilismo ma l’ira funesta del Pelide Achille sarebbe stata meno distruttrice se la storia non avesse dovuto fare i conti con la vanità femminile.

Inizialmente la traduzione proposta dal Monti venne osteggiata e, quando Ugo Foscolo si avvicinò alla prosa di Melchiorre Cesarotti, fu lo stesso Monti ad ammettere: «Quand’io vi lessi la mia versione dell’Iliade voi mi recitaste la vostra, confessandomi di avere tradotto senza grammatica greca; ed io nell’udirla mi confermava nella sentenza di Socrate che l’intelletto altamente spirato dalle Muse è l’interprete migliore d’Omero».

Già, la Musa, ognuno ne ha una, il punto di riferimento da guardare con impudicizia, il sole attorno cui girare, l’ossessiva ispirazione che impratichisce le amorose teorie. Vincenzo Monti si estraniò dai sempre più perfetti versi celebrativi e proseguì la sua composizione epica prendendo a paradigma il finale approssimativamente omerico proprio dei Sepolcri foscoliani. Peccato però che Ugo, concorrenziale paroliere, avesse in serbo una nemesi crudele, l’ineccepibile cornificazione di chi, come dicevamo, in tempi moderni si nasconde dietro un falso profilo.

Figlia di un tirolese emigrato a Roma, Teresa Pichler è stata una grande attrice ma, soprattutto, la moglie di Vincenzo Monti. Le bizzoche del civico 9 in Piazza di Spagna sono sicure che il loro matrimonio fosse in crisi da tempo ma Le Ultime Lettere di Jacopo Ortis fugarono ogni dubbio. Come tutte le relazioni extraconiugali, anche la liaison tra Teresa e Ugo Foscolo si consumava in luoghi occasionali. Bologna e Milano, in particolare, erano mete gradite alla coppia che, ad un certo punto, dovette stemperare le assillanti invasioni di anacronistici paparazzi, quegli influenti massoni che indirizzavano la carriera letteraria degli autori.

Cantami, o’ Diva, del Pelide Monti l’ira funesta che infiniti addusse… da quando primamente disgiunse aspra contesa, di una città Ilio dai posteri chiamata Teresa…