Mons. Giuseppe Satriano, arcivescovo di Rossano-Cariati, apre, anzi spalanca le sue porte ai poveri cristi della nave Diciotti: la sua diocesi è pronta ad ospitarli.

Eccellenza, nel ringraziarla per averci concesso questa intervista, ci permetta subito una domanda: la sua apertura vuole, in realtà, essere una provocazione?

Nessuna provocazione. Non almeno da parte mia. Come ho già scritto in un mio comunicato, è la realtà drammatica dei migranti, quella della Diciotti, come quella di tutti gli altri disperati che ci chiedono aiuto, a provocarci: nel vero senso della parola, che sta per “pro-vocare”, ovvero “chiamare a favore di”. Il dolore degli ultimi tra gli ultimi ci provoca: ci chiede di impegnarci, di fare qualcosa per loro. Le polemiche non appartengono allo spirito di chi si pone alla sequela di Cristo. Giudicherete l’albero dai frutti, si legge nel Vangelo. Assisto, invece, preoccupato a cristiani che si chiudono troppo facilmente nelle loro sicurezze borghesi e dimenticano la parola del Salmo 11: «Per l’oppressione dei miseri e il gemito dei poveri, io sorgerò dice il Signore, metterò in salvo chi è disprezzato».

Fatti, per l’appunto: come crede di organizzare l’accoglienza dei migranti nella diocesi di Rossano-Cariati?

In primo luogo, non indurendo il cuore al loro grido di aiuto. Di conseguenza, ho già comunicato alla Segreteria della Conferenza Episcopale Italiana che, nei limiti delle nostre possibilità, siamo pronti ad accogliere e ad accompagnare nel loro processo di integrazione quanti migranti ci saranno affidati.

Nel comunicato già da lei citato, si parla di Ponzio Pilato…

Sì. In effetti, quanto all’accoglienza dei migranti per giorni ostaggio della Diciotti, ho scritto: «La scelta operata dalla CEI è provvidenziale e quanto mai opportuna in un tempo in cui tutti indugiano nello stare a guardare il vecchio dramma di Ponzio Pilato che va nuovamente in scena».

Questo, però, non significa voler scusare le responsabilità dell’Europa. Intende solo sottolineare che le trattative vanno condotte nelle sedi dovute e con i modi più opportuni. Non a caso, nel medesimo comunicato, ho aggiunto: «La capacità di attestare diritti e la necessità di doverosi riconoscimenti a livello internazionale, non deve avere come terreno di gioco la vita umana».

Eccellenza, di recente, una delegazione diocesana, con laici, sacerdoti e soprattutto giovani, è stata in Albania, mentre lei ha guidato in Africa un’altra delegazione, composta da sei sacerdoti, un diacono e cinque laici. Possiamo dire che si tratta di esperienze che l’hanno segnata come uomo, come credente e come pastore?

Non c’è dubbio. Toccare la realtà è sempre diverso che leggerla dai libri o vederla in un servizio alla TV. Mi permetta ancora una volta di risponderle con quanto ho già avuto modo di pubblicare:

«In questo tempo così convulso in cui facili proclami ammaliano la nostra vita orientandola a scelte e stili discutibili, non è facile parlare di esperienze come quelle vissute della nostra chiesa diocesana sia in terra d’Africa, e in particolar modo in Kenya, che in terra di Albania, nel Nord tra popolazioni musulmane.

Esperienze vive quelle affrontate ricche di vibrazioni che toccano il cuore e che lasciano filtrare volti, storie, situazioni particolari di vita, lontane dal nostro mondo opulento che ha idolatrato il benessere come unica ragione del proprio esistere.

Blindare le porte delle nostre case, costruire recinti, erigere muri che separano e identificano, è l’arte che andiamo imparando dimenticando tempi e luoghi della storia dove tutto questo ha segnato percorsi di dolore e di annullamento della persona.

Passare dall’altra parte ed entrare nelle pieghe di società povere, derubate da politiche corrotte, alimentate da poteri occidentali, fa cogliere con chiarezza come lo spettro del povero, del migrante, del rifugiato, altro non è che la risultante di una indifferenza sociale che pervade il nostro mondo e con il quale sottoscriviamo autentici stupri e abusi nei confronti di società povere affamando e uccidendo la speranza di tanti popoli che avrebbero in se la capacità di costruire percorsi di vita.

L’accoglienza incontrata, l’amicizia vissuta, ci ha rigenerato e consegnato un’importante verità: l’umanità è una e non è divisibile, non è classificabile; l’umanità è il sogno di Dio in cui specchiandoci potremo trovare senso, gioia, vita per i nostri giorni».


Articolo precedenteIn Francia si è dimesso Nicolas Hulot, ministro dell’ambiente. Accadrà anche in Italia?
Articolo successivoLa smorfia. Dubbio amletico…
La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

1 COMMENTO

Comments are closed.