«Ma quando scoppia de la propria gota 
l’accusa del peccato, in nostra corte 
rivolge sé contra ‘l taglio la rota»

(Purgatorio XXXI, vv.40-42)

Ci sono almeno tre livelli di lettura in questo trentunesimo canto che, dal punto di vista narrativo, è la diretta prosecuzione del canto precedente.

In primo luogo, continua la severa reprimenda di Beatrice ai danni del malcapitato Dante. In realtà, il rimprovero della donna angelicata che, una volta defunta, si è vista rimpiazzare fin troppo facilmente da una «pargoletta» (v.59) fa pensare più al sentimento di gelosia di un’amante tradita che non ad altro, e diviene da questo punto di vista facilmente comprensibile.

In secondo luogo, continua la trasposizione allegorica delle vicende biografiche: Beatrice non è solo la fanciulla adorata in vita e in morte da Dante, ma è allegoria della teologia, ovvero del dono della conoscenza di fede che si offre alla ragione dell’uomo, introdotta dalla quattro virtù cardinali e vestita delle tre virtù teologali che la rendono capace di fissare gli occhi nel grifone, cioè in Cristo. Faticoso per noi, ma tutto sommato possiamo provare a intuire.

Ma c’è un terzo livello che è quello su cui mi vorrei soffermare ed è l’idea di Dio che le parole di Beatrice sottendono. Quello messo in scena dalla sua arringa, sembra quasi un Dio a cui non basta vincere, vuole stravincere: non si accontenta del pentimento del peccatore, esige la contrizione, la pubblica autoaccusa davanti a una corte, un tribunale, la cui lama tagliente ha necessità di essere limata dall’umiliazione del penitente.

Ecco, non mi ci trovo. Non me ne voglia Beatrice. Anzi: non me ne voglia Dante che, in quanto autore, non dimentichiamolo, è sempre colui che ha scelto quali espressioni farle pronunciare.

In più di un’occasione mi è già capitato di scrivere che, per quanto ben più moderno di tanti suoi contemporanei e anche di tanti odierni baciapile, Dante è pur sempre un uomo del suo tempo  e come tale va letto e interpretato, con tutti i limiti di una visione del mondo che a noi, per tanti versi, appare desueta. Tuttavia, questa volta non riesco a scusarlo.

Perché, il Vangelo – quello del chi è senza peccato scagli la prima pietra, quello del figliol prodigo accolto e restituito a dignità, quello della pecorella smarrita che vale più delle altre novantanove nel gregge – lo conosceva anche lui e avrebbe potuto ispirargli più la letizia di san Francesco che il rigore dei puritani. È così non è stato. Non in questi versi.

Ma con una postilla: meno male che c’è Matelda! Lei, che guida Dante nel Lete, lo sommerge come in un fonte battesimale, lo libera dalla zavorra di ogni memoria oscura e lo restituisce agli occhi di smeraldo di Beatrice, la più bella che ogni poeta abbia mai potuto cantare, così bella che non si può raccontare.

Tito Maccio Plauto: «È umano amare, ma è ancora più umano perdonare».

René Laurentin: «Si è capaci di misericordia nella misura in cui si sa di essere oggetto di misericordia».

Luigi Pavolese: «Dio non è misericordioso, ma è misericordia».


FonteFoto di copertina: pixabay.com
Articolo precedenteNorme U.E.: il consumo moderato di vino non è cancerogeno
Articolo successivoLe aquile dell’Asia Centrale
La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

2 COMMENTI

  1. Ma come si fa a dare il cuore ai miseri se siamo noi miseri?…
    Se aneliamo a un Dio Misericordia dobbiamo aprire il nostro cuore, da miseri quali siamo, perché non dobbiamo temere una lama che lo squarcerà, ma accogliere un olio che allievera’ le sue ferite.

    • Dio solo sa quanto necessitiamo di olio di misericordia sulle ferite che infliggiamo e che ci infliggiamo!

Comments are closed.