
Lettera aperta a Michele Palumbo: “La tua immagine di uomo virtuoso regnerà sovrana nei corridoi e nelle aule del Nuzzi”
Mi trovo a scrivere qualcosa che non avrei mai immaginato di dover fare. Volevo lasciare qualcosa, un regalo, qualcosa che potesse renderti fiero di te stesso anche se non ce ne sarebbe assolutamente bisogno. Lo faccio utilizzando il più grande potere conferito a noi esseri umani, quello che per te è stato motivo di studio e passione. A mio modesto parere, le parole sono in grado di scavare nell’interiorità dell’uomo innalzandolo fino al divino, se pesate a dovere; potrebbero anche sortire l’effetto opposto, ossia gettarci nell’abisso più profondo, nelle tenebre del nostro cuore.
Ma questo tu lo sapevi (anzi, lo sai) benissimo. L’hai sempre saputo. Quante volte mi sono meravigliato della tua magica capacità di “dirottare” un discorso semplicemente aggiungendo una parola in una frase. Quante volte invece il tuo silenzio è valso più di ogni parola. Michele, non ho mai avuto l’onore di partecipare ad una tua lezione di filosofia né di averti come supplente in una sola ora del mio percorso liceale, ciò nonostante ho avuto modo di apprendere qualcosa che va al di là della semplice conoscenza scolastica. Tu impartivi moralità e modo, riuscendole ad unire in un binomio indissolubile come mai nessuno ho visto fare. Per sempre la tua immagine di uomo virtuoso regnerà sovrana nei corridoi e nelle aule del Nuzzi. Sei stato maestro di vita ed esempio candido di purezza d’animo, senza tuttavia perdere il sorriso, anche se la vita ha provato più volte a strappartelo. Posso affermare, alla luce degli eventi, che non ci è riuscita nemmeno questa volta. Già perché tu continui a vivere dentro di noi, dentro ognuno dei tuoi ex alunni e dentro il cuore di chiunque tu abbia avuto modo di conoscere, lasciandoli sorpresi dalla tua dialettica.
Non ho mai conosciuto qualcuno che preferisse le avversità alla noia. Tu invece mi hai illuminato anche in questo. Ricordo benissimo come fosse ieri quando mi avvicinasti per consolarmi di una disgrazia e mi dicesti: “Tranquillo, Mauro, la vita sta solo cercando di temprarti. Non lasciarti vincere”. Da quel giorno cambiai completamente prospettiva, mi hai insegnato ad andare avanti sempre e comunque, a perseverare nei miei obiettivi e soprattutto lasciarmi “rapire” dalla bellezza che ci circonda, dalla precarietà e fragilità del mondo. Anche tu, come me, sei fatto di un animo fragile quanto duttile. Eppure, se così non fosse, non avremmo mai potuto creare una sinergia tale da comunicare pur non sapendo dove ora tu sia.
Non sono mai stato un grande latinista, ma mi concedo il lusso di rispolverare il mio vecchio dizionario di latino per risalire all’etimologia del verbo rapere che in lingua latina indica il rapimento. Può assumere diverse accezioni a seconda dell’uso. L’utilizzo corretto, in questo caso, è dato da un altro verbo, carpere, che è celebro sappiamo tutti per cosa. Scherzosamente io ed una combriccola di compagni usavamo chiamarti “l’Angelo del compromesso”, angelo perché un po’ “santo” lo sei stato in vita e compromesso poiché riuscivi ad accordare due o più parti apparentemente antitetiche fra loro. Lo stesso vale per i due verbi latini già citati: è stata la vita a rapirti, unico modo per delineare (o meglio cogliere) quanto la vita stessa fosse gelosa di te, a tal punto da preferire portarti via da questo mondo che forse non era alla tua altezza.
Compromesso lo sei stato anche nella vita scolastica e professionale. Diplomato al liceo classico in età giovanile, sei poi diventato (il più grande?) docente che il liceo scientifico di Andria abbia mai visto. Colgo l’occasione per invitare gli organizzatori della tradizionale partita di calcio che si tiene ogni anno in occasione del Precetto pasquale, punto di incrocio tra i due licei che hanno caratterizzato la tua vita: sarebbe bello ricordarti in quella circostanza. Lo meriti tu più di chiunque altro.
Ciao Michele, ti voglio bene.