LE OLIMPIADI DI NATALE

Dopo quattordici edizioni disputate tra Europa e Stati Uniti, il CIO assegnò l’organizzazione dei Giochi Olimpici all’Australia. Melbourne batté la concorrenza di Buenos Aires, l’unica antagonista che tenne testa alla città australiana fino alla quarta sessione di voto. La scelta di Melbourne andava a soddisfare il Comitato Olimpico, che finalmente portava le Olimpiadi in territori nuovi, ma non mancarono le difficoltà dal punto di vista organizzativo, legate all’alternanza delle stagioni nell’emisfero australe, dove i mesi di luglio e agosto sono quelli invernali. Dopo una serie di incomprensioni tra gli organizzatori e il CIO, fu fissata la data, dal 22 novembre all’8 dicembre, nel bel mezzo del periodo prenatalizio. E così, gli addobbi natalizi delle strade furono affiancati da quelli dei cinque cerchi, una gioiosa coincidenza ma non per gli atleti, che dovettero ricalibrare la preparazione atletica in vista di Melbourne.

Non si arrivò in armonia ai Giochi.

Il 1956, “anno terribile” per alcuni, per altri “indimenticabile”, fu segnato dalla denuncia dei crimini di Stalin da parte di Kruscev, dalla nazionalizzazione del Canale di Suez e soprattutto dai tragici fatti di Ungheria, avvenuti proprio pochi mesi prima dell’inizio della XVI edizione. Questo evento comportò la protesta di Spagna, Olanda e Svizzera che boicottarono i Giochi, aggiungendosi a Iraq, Libano e Egitto che invece avevano rifiutato la partecipazione per la crisi di Suez. Gli ungheresi, seppur umiliati e già dispersi nella diaspora europea, riuscirono a raggiungere l’Australia e a piazzarsi comunque quinti nel medagliere. La tensione esplose nella partita di pallanuoto del 6 dicembre, allorquando i fuoriclasse magiari conducevano per quattro a zero sui russi. L’acqua si colorò di sangue, trasformando la piscina in una tonnara, con il pubblico a prendere le parti degli ungheresi. Scoppiò una rissa a bordo vasca e l’intervento della polizia frenò l’ira dei tifosi ungheresi pronti ad aggredire i sovietici.

I Giochi erano stati aperti due settimane prima dalla Dichiarazione del principe Filippo d’Edimburgo, con il rituale ormai classico dell’ultimo tedoforo, Ron Clarke, e il giuramento di John Landy. Le defezioni sopracitate e la distanza portarono ad un calo degli atleti partecipanti che tuttavia non inficiò sulla qualità delle prestazioni.

L’equitazione fu esiliata a Stoccolma e disputata quattro mesi prima a causa della quarantena prevista per i cavalli d’importazione. I fratelli D’Inzeo presero confidenza col podio vincendo due argenti e un bronzo, anticipo di successive imprese olimpiche.

Nell’atletica leggera, dominata ancora una volta dagli Stati Uniti, ebbero rilievo le vittorie della beniamina di casa Betty Cuthbert, oro nei 100, 200 e nella 4×100, staffetta da record mondiale, che potè contare anche sul contributo dell’ostacolista Shirley Strickland, dominatrice degli 80 m a ostacoli. Dopo Remigino, ancora un bianco vinse i 100 m maschili: Bobby Joe Morrow, eguagliò la Cuthbert vincendo 100, 200 e staffetta 4×100.

A raccogliere l’eredità di Zatopek fu un marinaio ucraino, Vladimir Petrović Kuts. Nella finale dei 5000 ingaggiò un duello con il primatista mondiale, “mister Puff Puff”, l’elegante britannico Gordon Pirie, riuscendo a imporre un ritmo sostenuto già dai primi giri, arrivando primo con dieci secondi di vantaggio. Nei 10000 addirittura Pirie finì ultimo, lontano dal sovietico che bissava il successo dei 5000 davanti all’ungherese Kovacs e all’australiano Lawrence. Alain Mimoun si scrollò di dosso l’etichetta di eterno secondo andando a vincere la maratona, nella quale il detentore Emil Zatopek arrivò sesto. Il franco algerino attese l’arrivo dell’eterno rivale per abbracciarlo e lasciarsi complimentare per la vittoria. Visibilmente commosso, Mimoun salì sul podio davanti allo jugoslavo Mihalić e al filandese Karvonen.

Dawn Fraser, ragazzina ribelle e impertinente, guidò l’ascesa del nuoto australiano. La Fraser vinse due ori, ma grande protagonista fu Murray Rose con i suoi tre ori. Dopo le cinque medaglie d’oro dei due nuotatori, i padroni di casa aggiunsero altri tre ori, ossia quelli di Hendricks (100 m sl), Theile (100 m dorso) e della Crapp (400 m sl) che consentirono all’Australia la supremazia in piscina,lasciando ben poco a chi fino ad allora aveva spadroneggiato, Giappone e soprattutto USA che negli altri sport dovettero ben guardarsi dalla minaccia sovietica.

Gli statunitensi si riconfermarono nella pallacanestro battendo proprio i sovietici. I russi vinsero un mediocre torneo di calcio contro la Jugoslavia. Tra i pali figurava Lev Jašin, il Ragno Nero, l’unico portiere ad aver vinto il Pallone D’Oro. Giusto fare una digressione riguardo l’ennesimo oro dell’India nell’hockey su pista, assoluta dominatrice dall’edizione di Parigi 1924.

A Melbourne, dopo solo due edizioni, l’URSS operò uno storico sorpasso sugli USA, vincendo il medagliere. Un buon contributo venne dalla ginnastica dove i sovietici vinsero ben undici ori.

Grazie agli otto ori, otto argenti e nove bronzi, l’Italia chiuse quinta nel medagliere, dietro alla stoica Ungheria, ma davanti a potenze sportive come Svezia, Germania, che gareggiò unita sotto un’unica bandiera a cinque cerchi, e Gran Bretagna. La scherma, autentica fucina di medaglie, non deluse andando a segno con la squadra del fioretto maschile, con la spada maschile e con Carlo Pavesi nella spada individuale. Nel poligono di Laverton Galliano Rossini fu oro nella Fossa olimpica. Il ciclismo ci diede tre ori: gli Azzurri trionfarono nell’inseguimento a squadre, nel chilometro da fermo con Faggin e nella prova in linea, nella quale l’umile Ercole Baldini trionfò in una giornata afosa. Il Quattro con maschile finì primo davanti a Svezia e Finlandia, confermando la buona tradizione della scuola italiana e della Moto Guzzi. Un buon viatico che anticipava i giorni gloriosi della nostra Olimpiade, l’indimenticabile edizione di Roma 1960, l’unica edizione disputata nel nostro Paese.