
Intervista con gli architetti ideatori Maurizio Diaferia e Raffaella Cornacchia
L’hanno chiamata “TinTin House” e a vederla si capisce subito il motivo. Potrebbe essere paragonata sia a un igloo che ad una tenda arabeggiante, ma anche, per restare legati al nostro territorio, a un trullo della valle d’Itria.
8000 bottiglie raccolte, delle quali 2500 selezionate. Legno, fil di ferro e vernice ad acqua hanno completato il progetto “Architettura in bottiglia”, promosso da Ret’Attiva, che si è tenuto ad Andria, in Officina San Domenico, dal 12 al 17 settembre scorsi.
Il lavoro ha coinvolto circa 25 volontari ed è stato fatto “alla cieca”, senza mai mostrare il progetto e senza svelare il risultato finale, perché “in un’era in cui vai a vederti le cascate del Niagara su internet, prima ancora di partire, abbiamo voluto stimolare il piacere della scoperta e dello stupore”.
Maurizio, come nasce questo progetto?
Il progetto nasce soprattutto per sperimentare un’idea di architettura sostenibile non solo a livello ambientale, ma anche a livello economico, tramite l’uso di tecnologie innovative. Esistono già architetture che utilizzano bottiglie di vetro (in Africa) o di plastica (molto usata per le serre nelle risaie dell’Indocina, ndr), soprattutto nei paesi più poveri, dove si è passati da una dispendiosa tecnologia del mattone crudo a questo tipo di tecnologia della costruzione.
Quindi non parliamo di architettura effimera, se mi passate il termine, ma una tecnologia che viene utilizzata in molte parti del mondo, tra cui l’America del Sud dove ci sono templi fatti di milioni di bottiglie, che ti permettono di capire cosa è possibile fare con il riciclo.
Raffaella, perché le bottiglie di vetro?
Siamo partiti da una domanda: da una discussione sulle risorse disponibili in chiave ecosostenibile, in ottica di recupero dei materiali, ci siamo chiesti quale tra questi più si confà a queste esigenze e questi temi, che sposi l’architettura? Da qui, dopo la scoperta delle strutture all’estero, anche se in questo caso abbiamo utilizzato tecnologie differenti, abbiamo deciso di usare il vetro ed è cominciata la raccolta.
Maurizio, come si sposa questo progetto, in ottica urbanistica, all’architettura di paesi lontani?
È chiaro che qui non siamo in Africa o Sud America, quindi bisogna capire che l’architettura deve essere inserita e ideata al contesto urbano che la ospita. Però, mentre in Africa si usano le bottiglie come mattoni, per questo progetto abbiamo pensato a una struttura componibile e scomponibile. Per questo abbiamo lavorato in laboratorio con il CNC (control numerical computer – dei robot che lavorano sulla base del disegno ideato dall’architetto – ndr) all’ideazione di una struttura non duratura che possa essere smontabile e trasferibile, usando materiale facilmente reperibile in ferramenta, in modo da rendere accessibile a tutti la costruzione di una struttura simile o uguale a questa.
Quindi è questo il vostro auspicio per il futuro?
Sì – risponde Raffaella – , speriamo di trasmettere comunque una sensibilità per il riciclo e il riutilizzo dei materiali. Poi la creatività non ha limiti e si spera in un sistema a catena, in cui si acquistano competenze, senza penalizzare l’uso della manualità e promuovendo il lavoro in gruppo.
Non solo. Speriamo diventi un progetto itinerante per conoscere nuove tecnologie, che crei cooperazione e che sia d’aiuto alla promozione ai temi dell’ecologia e del riciclo, anche in chiave urbana.
Tintinhouse, anzi #TinTinHouse, sarà visitabile per tutta la durata del Festival Castel dei Mondi (23/9 – 9/10) all’interno dell’Officina San Domenico.