Per chi volesse conoscere un po’ più da vicino la Cina e il suo universo

Quando si parla di Cina, si pensa a questo enorme Paese come uno dei pochi stati guidati da un partito comunista rimasti al mondo, e di conseguenza a uno che non conosce a fondo la Cina, viene facile pensare che anche la Cina attuale sia governata dagli ideali comunisti, e che per cercare di comprenderla bisogna studiare Marx e soprattutto Mao Zedong, il leader più decisivo della storia del Partito Comunista Cinese (fondato nel 1921, come quello italiano, anche se allora Mao non ne era uno dei membri principali), nonché fondatore della Repubblica Popolare Cinese, ma le cose non stanno proprio così.

Sicuramente la figura di Mao è ancora un riferimento importante per i cinesi, soprattutto per le vecchie generazioni, ma leggere le quotazioni del Presidente Mao (opera in Italia più famosa con il nome di “Libretto Rosso), vi aiuterà a capire la storia del Paese dal secondo dopoguerra fino alla fine degli anni ‘70, ma non certo a comprendere come funziona attualmente.

Anche i riferimenti al marxismo continuano a essere presenti nei discorsi dei vertici del partito, ma per capire davvero com’è la Cina attuale, e qual è la mentalità dei cinesi moderni, bisogna paradossalmente andare molto più indietro nel tempo, a uomini che sono vissuti più di duemila anni fa, e cioè ai pensatori Confucio e Han Feizi, e al generale Sun Zi.

Ciò potrebbe sembrare una contraddizione per un Paese che guarda allo sviluppo tecnologico come uno dei fattori principali per il successo della nazione, ma ciò che voglio provare a spiegare è la mentalità che sta dietro l’operato del governo e lo stile di vita di molti cinesi, partendo dal pensatore cinese per antonomasia, cioè Confucio, (in cinese Kongfu Zi).

Kongfu Zi (孔夫子), o più spesso abbreviato in Kong Zi, nacque nel 551 a.C. nell’attuale Qufu, nella provincia dello Shangdong, che si trova praticamente dirimpetto alla penisola coreana.

Il suo pensiero, che negli anni si tramutò in un vero e proprio culto, tanto che tuttora in ogni città cinese c’è almeno un tempio confuciano, è racchiuso nelle sue opere, ma qui riassumerò il tutto molto brevemente, concentrandomi soprattutto sul concetto di “Pietà filiale” (孝顺 xiao shun).

Per pietà filiale si intende la lealtà e il rispetto che ogni persona deve provare per i propri genitori, i parenti più anziani, gli antenati, e di conseguenza anche per il proprio superiore al lavoro o nell’esercito, per i governanti e quindi per la patria.

Possiamo tranquillamente affermare che questo modo di pensare e di intendere la società sia ancora molto presente in Cina, ed è ritenuto fondamentale per mantenere l’armonia (和谐 hexie) nella società.

Per armonia però, non si intende che tutti devono pensare e agire alla stessa maniera, ma che anche elementi diversi tra loro devono convivere nella società senza provocare disordini, come esprime la massima confuciana “He er butong” (和而不同), che vuol dire “armonia nonostante le diversità”, tipico degli uomini retti, di valore (君子 junzi) mentre per le persone piccole, senza spessore morale (小人 xiaoren), vale il detto “Tong er buhe” (同而不和), cioè “disordine nonostante l’uguaglianza”.

Riassumendo, le persone virtuose possono esprimere le loro diversità senza intaccare l’armonia sociale, ed è per questo che in Cina possono convivere armoniosamente etnie, religioni, e pensieri filosofici diversi senza intaccare la stabilità sociale, anche perché se quest’ultima viene a mancare, la colpa ricade su chi governa (in passato erano le dinastie imperiali, adesso è il Partito Comunista), che se non è in grado di garantire l’armonia sociale, significa che ha perso il “mandato del cielo” (天命tianming) e non può più governare.

Naturalmente, le cose nella realtà non vanno così “armoniosamente”, e quando qualcuno protesta in maniera ritenuta socialmente pericolosa, interviene la polizia a riportare “l’armonia” con censura e arresti, ma la maggior parte dei cinesi accetta questo, perché per la pace sociale si può rinunciare a qualche diritto individuale, pensiero ben lontano da quelli occidentali, come si è visto durante la prima fase dell’epidemia di Covid, con molta gente che ha protestato contro qualunque misura di restrizione.

Se Confucio è il più famoso dei pensatori cinesi, anche all’estero, e il suo pensiero è sicuramente quello che più è rimasto permeato nella società del gigante orientale, secondo me merita una menzione anche Han Feizi (韩非子), il maggior esponente del “legismo”.

Il legismo è una corrente politico-filosofica che risale al III sec. a.C., ed è stata alla base del governo di Qin Shihuang, il primo Imperatore della prima dinastia cinese, appunto la dinastia Qin, da cui deriva il toponimo Cina, che in cinese invece si dice Zhongguo (中国,Terra di Mezzo) che regnò dal 221 al 206 a.C.

Al centro del pensiero di Han Feizi, c’è l’autorità del leader dello Stato, che non può mai essere in discussione, e per ottenere ciò è necessario emanare leggi che stronchino qualunque tentativo di minare l’autorità del re o dell’imperatore.

In pratica, le leggi non devono avere come scopo primario quello di migliorare la vita dei cittadini e di garantirne la sicurezza secondo il principio che attualmente viene definito in inglese “Rule of Law”, ovvero lo Stato di Diritto in cui la Legge è uguale per tutti ed è essa a regolare la vita in una società democratica; per il pensatore cinese invece, la Legge aveva lo scopo principale di garantire il potere incontrastato del sovrano, in una sorta di “Rule by Law”, cioè il governo attraverso la Legge, ergo la Legge è uno strumento utilizzato dal leader per comandare, pensiero non molto diverso da quello che avrebbe espresso Machiavelli circa 1800 anni dopo.

Ora sarebbe una forzatura paragonare la Cina di Han Feizi e Qin Shihuang a quella attuale, adesso le leggi vengono fatte pure per il popolo, anche solo per ottenerne il consenso, e i successi in campo economico-sociale degli ultimi trent’anni sono sotto gli occhi di tutti, però è anche vero che il potere è nelle mani di un solo partito (il Partito Comunista), che non esita a esercitarlo in maniera autoritaria quando il potere stesso è in pericolo, come dimostrano la legge sulla sicurezza a Hong Kong, e le leggi speciali anti terrorismo e separatismo in Xinjiang, per non parlare delle misure draconiane per il contenimento del virus, con lockdown imposti anche per pochi casi e che in alcuni casi hanno fatto insorgere la popolazione, come a Shanghai, ma che comunque non hanno scalfito più di tanto la linea del governo al riguardo. Si continua con i tamponi a tappeto e i lockdown mirati, anche di singoli compound, ma va detto che ogni amministrazione cittadina o provinciale decide autonomamente i modi e le tempistiche, basandosi sulle direttive centrali,cosicché mentre in alcune città è tutto aperto e permane la solo la routine della scansione del QR code all’ingresso di tutti (o quasi) i locali, e in certi casi anche del tampone (per esempio a Pechino), in altre invece si è in lockdown, totale o solo di alcune zone della città.

I cittadini non hanno il potere di cambiare i propri governanti attraverso libere elezioni, e spesso e volentieri le loro proteste sono censurate, ma censurate non significa necessariamente ignorate.

Per fare un esempio, quando il governo l’anno scorso annunciò in pompa magna che da allora le famiglie cinesi avrebbero potuto avere tre figli, la notizia fu accolta da raffiche di commenti negativi e insulti, prontamente censurati ma tenuti in considerazione, visto che hanno iniziato subito a promulgare leggi sulla maternità (mia moglie ne ha appena usufruito con un periodo di maternità di 9 mesi, roba da record) e incentivi fiscali per le famiglie con figli a carico, confermando il principio confuciano di ordine sociale da mantenere mostrandosi meritevoli davanti al popolo, e quello di Han Feizi per il quale l’ordine va mantenuto con le leggi.

L’ultimo grande personaggio storico cinese che secondo me ha ancora una certa influenza sulla Cina moderna non era un pensatore, ma un abilissimo generale, il cui nome era Sunzi.

Il pensiero strategico-militare di Sunzi è racchiuso nella sua opera “孙子兵法” (Sunzi Binfa), letteralmente “La strategia militare di Sunzi”, ma conosciuto a livello internazionale con il titolo inglese “The Art of War”, in italiano “L’Arte della guerra”.

È un manuale tuttora presente nelle accademie militari di tutto il mondo, a sottolineare la sua attualità per quanto riguarda le strategie militari, nonostante i millenni passati e le enormi innovazioni avvenute in campo tecnologico-militare, e io ritengo personalmente che diversi passaggi del manuale avrebbero dovuto essere presi più in considerazione dai vertici militari di Russia e Ucraina.

Ad esempio, un brano del decimo capitolo (l’opera in totale è divisa in 13 capitoli, ognuno con un argomento specifico) recita “Quando il generale è incapace di valutare la consistenza del nemico, e impegna una piccola forza per affrontarne una grande, o truppe deboli per contrastare truppe più forti, o affida incarichi a subalterni, il risultato è la sconfitta”.

Ora non sto qui a fare un’analisi dell’andamento del conflitto in Ucraina, ma credo che questo passaggio, all’apparenza semplice, non sia stato recepito molto bene da nessuno dei due schieramenti.

Un altro brano che dovrebbe essere letto e compreso sia dai vertici russi che quelli ucraini, secondo me è questo del terzo capitolo

“In guerra è meglio conquistare uno Stato intatto. Devastarlo significa ottenere un risultato minore”.

Certo, questo passaggio andrebbe fatto leggere soprattutto a Putin, ma anche chi si difende a oltranza anche quando le condizioni non sono vantaggiose, dovrebbe rifletterci su. Anche se le truppe russe si ritirassero oggi stesso, il governo Zelensky avrebbe in mano una grossa fetta del territorio devastata e da ricostruire.

Un altro aspetto fondamentale dell’opera, è che la resa non viene considerata affatto un disonore, naturalmente dipende dalla situazione, e infatti sempre nel capitolo 3, possiamo leggere

“Quando sei inferiore in tutto, se puoi ritirati”, ma anche

“Se sei inferiore in tutto al nemico, devi riuscire a sfuggirgli. Se ti ostini a cercare il combattimento, sarai fatto prigioniero perché, per una forza più potente, una forza esigua diventa preda desiderata”.

Come già detto però, “L’arte della guerra” è tuttora utile per capire la mentalità cinese in campo militare e non solo, come si evince dall’ennesimo passaggio del terzo capitolo, e cioè

“Ottenere cento vittorie su cento battaglie, non è il massimo dell’abilità: vincere il nemico senza bisogno di combattere, quello è il trionfo massimo”.

Questo l’ho sempre detto a chi pensava che la Cina avesse approfittato della “distrazione” degli Stati Uniti impegnati nella guerra in Ucraina (affermazione quasi più offensiva per gli Stati Uniti che per la Cina, visto che è impensabile che gli Stati Uniti si distraggano dal perseguimento del loro obiettivo principale, ovvero il controllo del Pacifico), perché non è il modus operandi cinese, lo dimostra la Storia di un Paese che molto raramente ha dichiarato guerra a un altro Stato, quello di raggiungere il proprio obiettivo con la forza quando questa comporta dei rischi, e di rischi per la Cina ce ne sarebbero tantissimi in caso di una scriteriata invasione militare dell’isola che comunque, va ricordato, è de facto riconosciuta dalla comunità internazionale come parte integrante del territorio cinese, come ho scritto nel mio precedente articolo.

Il Dragone cerca sempre di ottenere ciò che vuole con la persuasione (economica) e l’intimidazione, ma il ricorso alle armi è l’estrema ratio, proprio come pensava Sunzi.

Certo è che la visita della Pelosi a Taipei, che ha scatenato la furiosa reazione cinese sfociata in esercitazioni militari intorno a Taiwan, si poteva assolutamente evitare, una mossa provocatoria e osteggiata persino nelle alte sfere del governo americano.