Alla IX settimana biblica di Andria è la volta del Prof. Marcello Marino, docente di esegesi presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Pisa. Il tema della sua relazione: “Il libro del profeta Giona: una missione verso il nemico, straniero e lontano”
Prof. Marino, il titolo della sua relazione è quanto mai evocativo: incomincerei proprio con una riflessione su una figura così singolare come quella di Giona, che definirei “profeta suo malgrado”. Che ne pensa: è anche il nostro un tempo per profeti scomodi?
Sì, Giona siamo noi. Chi scrive il libro di Giona sceglie il genere letterario della novella, caso unico tra i libri della Bibbia, e lo fa proprio col preciso intento di coinvolgere chi ascolta perché si dica: “Guarda un po’ quanto assomiglio a Giona!” A Giona viene chiesto di portare una parola di giudizio in vista del perdono, solo che è chiamato a portarla a quelli che potremmo definire i suoi carnefici: un po’ come se, ai tempi di Hitler, a un figlio che avesse il padre o la madre nei campi di concentramento, qualcuno avesse chiesto: “Vai dai nazisti e di’ loro che stanno sbagliando, ma che sono nel cuore di Dio e dunque si convertano”. E insomma: non è così facile. Amare chi ci ha fatto del male. Gli Assiri sono famosi nei libri di storia per la loro efferatezza, per la violenza, per il sangue che hanno sparso. Tra l’altro, se si vuole fare un ponte di attualità, Ninive è la capitale del neo impero del Califfato, Mosul, che sparge lo stesso sangue, che taglia le teste come le tagliavano gli Assiri, e oggi per la comunità cristiana, davanti al violento, al malfattore, a chi sparge il sangue, c’è da domandarsi come fare a rispondere con lo stesso cuore di Dio. E non si tratta di essere buonisti, perché “ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”. Però ci sono ancora quaranta giorni perché ci sia la possibilità della conversione. Inoltre, il verbo ebraico può essere tradotto sia con “distrutta” che con “trasformata”, quindi gli abitanti di Ninive sono chiamati a far di tutto per essere “trasformati” invece che “distrutti”. E ci riescono: la città del sangue si trasforma nella città della giustizia e i suoi abitanti si convertono dal male, dalla violenza che era nelle loro mani. Insomma: si può sperare che il malvagio incallito diventi il giusto tra le genti.
Professore, a proposito di attualità e di “missione verso lo straniero”, forse oggi Giona sarebbe chiamato ad andare da chi alzi i muri lungo le frontiere oppure vuol rimandare i barconi indietro.
Il nemico assume varie identità. È colui che ci fa del male, che sfrutta gli altri, che fa scorrere del sangue. Occorre andare da chi tira su i muri, ma prima pensiamo alle mafie che sono qui nel foggiano, ai fatti di questi giorni, a Rignano Garganico, dove pare che qualcuno abbia appiccato il fuoco provocando l’incendio in cui sono morti Mamadou Konate e Nouhou Doumbia, di 33 e 36 anni, due ragazzi malesi che hanno affrontato la morte in mare, e si sono salvati, e sono poi bruciati in terra. E qui c’è da dire: ci interessa la vita di queste vittime? La risposta è sì. Ma ci interessa anche la vita di questi mafiosi, di questi malavitosi, delle organizzazioni che si servono dei più poveri per portare avanti i propri progetti malvagi? Preghiamo per questi malavitosi perché si convertano? Abbiamo in cuore la passione di Dio per la città malvagia? Per l’associazione malavitosa? Per tutto l’impero economico che provoca la morte in tante forme? Siamo chiamati a farci queste domande e poi a chiederci cosa voglia dire andare verso Ninive. Comporta un pronunciare non solo una parola di rottura come ha fatto Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi, dicendo che “un giorno verrà il giudizio di Dio: convertitevi!”, lo stesso annuncio che porta Giona a Ninive, suo malgrado, senza trasporto. E la stessa cosa ha detto papa Francesco alla Procura Nazionale in Vaticano: “Vorrei pregare per i cuori dei mafiosi”. E noi? Quale passione mettiamo per “trasformare” in luoghi di giustizia i luoghi in cui gli uomini vengono uccisi, sfruttati, non rispettati?
Mi permetta, professore: dunque, è ancora possibile avere una visione ottimistica sul “mondo degli uomini”?
Certamente che è ancora possibile: fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce, recita l’adagio. Noi purtroppo siamo vittime dell’informazione e questa ci parla sempre di alberi che cadono, ma dobbiamo sapere che nel mondo ci sono tanti, sono la maggioranza, uomini buoni, giusti, onesti, che sudano tutti i giorni per fare le cose giuste e sono più vicini a Dio, anche se a noi, talvolta, possono sembrare lontani. Quindi, certo, è possibile avere una visione ottimistica, buona, del mondo degli uomini. E dobbiamo avere una visione ottimistica sulla possibilità dei cattivi di tornare ad essere buoni. Ma dobbiamo chiederci quanto questo ci sta a cuore, quanto questo è la nostra passione. Di sicuro, lo è di Dio: lo è anche nostra?