The way back – Quinta puntata
Perth, 2023
Ferruccio Orioli ci da’ le coordinate di un’intercultura cercata a costo della morte.
La mia famiglia invece andava sempre a nord via terra. Amava l’intercultura nord sud. Il nord per noi era esotico. Per cui la prima volta che a sedici anni partii da sola con gli amici per la Sicilia, fu vera intercultura. Tornammo in nave da Vulcano alla fine di settembre. Le scuole aprivano ad ottobre. E quelle estati interminabili erano una vera intercultura dentro ogni anno. Però erano classiste perché mica tutti potevano stare tanto o affatto in villeggiatura. E nel carcere non si faceva scuola per quattro mesi. C’è a volte sgradevole intercultura nell’uso del tempo e dello spazio. Anche oggi molti bambini non possono stare senza scuola dall’8 giugno al 10 settembre. Ma in quei 55.000 plessi delle nostre circa 8000 istituzioni scolastiche è quasi impossibile trascorrere un tempo diverso estivo. Sarebbe bollente e poco ‘outdoor’ per mancanza di giardino o di ombra. In Australia tutto il way of life è outdoor e le scuole poi hanno l’obbligo del cappello con falde alla primaria per quanto tempo trascorrono al sole dannoso i bambini. La crema solare è disponibile ovunque, in secchi. Non avevo mai viaggiato in nave e sul ponte al buio caldo sotto le stelle mi vestii di intercultura beduina. Decadi dopo a Petra compresi perché i beduini sfrattati dal sito avevano rifiutato le case popolari o, se costretti, vi andavano di rado. Furono impiegati sul sito e così riuscirono a proseguire la loro intercultura con lo spazio, sotto le stelle. C’è intercultura fra i nomadi e i sedentari. C’è corto circuito fra viaggio in mare e naufragio, e fra viaggio a piedi nei boschi e Autostrada del Sole.
Nel golfo di Napoli avevo sperimentato piccoli viaggi in traghetto da Napoli a Procida. Il traghetto nel golfo fu intercultura. Andare a Procida alle tre dopo scuola era come mandare alla deriva Napoli e tutto il resto. Cosa pensavano i ragazzi dell’IPM vedendo da dietro le sbarre la nostra libertà nel vento? Poi venne il non viaggio, anch’esso visibile da dietro le sbarre di Nisida.. La nave. In rada. Tre giorni a bordo. Indimenticabile. Avevo sedici anni ed ancora non avevo mai incontrato quella mia lontana cugina nata lo stesso giorno dello stesso anno. Due porti. Lei a La Spezia ed io a Napoli. Lo stesso Mar Tirreno ci accolse entrambe. Era una storia complicata la nostra parentela, un romanzo di intercultura in pratica, ma la fine era che loro tre, due maschi e una femmina, erano orfani, morta giovane la madre, sorella di mia nonna, e in modo ingiusto e violento nel fascismo il padre da eroe. Corto circuito di intercultura fra guerra e pace; democrazia e dittatura; nord e sud; terra e mare; vita e morte. Mia nonna era bionda con gli occhi celesti dalla pelle chiara. Sua sorella era bruna, occhi scuri, dalla carnagione bruna. La differenza nel loro aspetto era parte della storia che aveva al centro il tema del viaggio. Lui, il padre eroe, era spezzino e comandante di lungo corso. La vide per strada un giorno sbarcato a Napoli. Fu un colpo di fulmine. Le disse: torno fra un anno e ti sposo. Lei gli diede l’indirizzo ma un anno dopo aprì la porta mia nonna bionda con gli occhi chiari. Lui quasi svenne dalla delusione. Svelato l’arcano convolarono a nozze verso il nord. Il figlio comandante sbarcava a Napoli solo poche ore per rendere omaggio a mia nonna e così suo fratello che era nella marina militare di Taranto e guidava gli elicotteri. E il volo per me era un viaggio ignoto. Bevevo i suoi racconti e vedevo le pale del suo elicottero. Volare era il mio sogno di intercultura. Ma anche la navigazione semestrale che faceva l’altro fratello per me era come un viaggio sulle pagine di Salgari. Per lo più spostava grano dalla Russia all’America. Nonostante la guerra fredda. Intercultura commerciale nel corto circuito dell’intercultura diplomatica. Nei nostri sedici anni lui, il Comandante, si fece raggiungere dalla figlia a Napoli. Ci fu uno sciopero che gli impedì di attraccare e allora lui imbarcò entrambe noi a bordo in rada. Ci diede la sua cabina. Io mi imbarcai di sera al buio con le onde grandi dalla pilotina della Capitaneria di porto, da Molo San Vincenzo, location di ‘Mare Fuori’. Ebbi paura. Non ero un lupo di mare e la porticina sulla pancia della nave un attimo era a livello e un attimo dopo un metro sotto. Ma non fu quello il viaggio. E neanche svegliarsi su una nave del grano dove l’equipaggio attraversava il ponte in bici e non si permetteva mai di fissarci in volto anche se noi eravamo angry girl hyppie e parlavamo tutto il giorno guardando i Castelli di Napoli. Ammiravamo il Vesuvio imponente nella notte. Fu straordinario, ma neanche quello fu il vero senso del viaggio. Mangiare al tavolo degli ufficiali fu solo tenero. Nel tavolo a fianco c’era l’equipaggio che non ci guardava mai tantomeno in quello spazio chiuso e ristretto. Ma il vero senso di quel viaggio nel viaggio fu l’affinità elettiva della nostra adolescenza. L’adolescenza è pura intercultura.