
Roma, 2 Aprile 2017. La mia prima Maratona.
La maratona… Esistono gli sportivi professionisti e gli amatori come dice la mia amica Mirella.
Un professionista gareggia per sfidare se stesso, superare i propri limiti andando contro il tempo, alla ricerca dell’adrenalina della gara, della vittoria. Cura raffinata della preparazione tecnica, controllo dei tempi, delle prestazioni.
Un amatore gareggia fondamentalmente per gli stessi motivi: la sfida contro i propri limiti. E cura la preparazione, si concentra sugli allenamenti con lo stesso ardore. Sacrifica il sonno e dimentica le giornate festive; sabato e domenica mattina sono dedicate agli allenamenti. Niente uscite serali, niente rientri a notte fonda. Ore e ore sulle gambe a tentare di andare oltre .
E a quelli che gli chiedono “Ma chi te lo fa fare? “ non riesce a dare una spiegazione convincente perché ogni esperienza va provata sulla propria pelle, sentita e desiderata nelle proprie viscere.
Corro da un po’. Non sono mai stata una forte e nemmeno una costante. Ogni tanto mollo. Mi concedo delle pause, direbbe qualcuno. In realtà faccio altro.
Però ad un certo punto ho sentito che era arrivato il mio momento di provarla, una maratona, ed è inutile dire che ciò che cercavo erano emozioni , risposte ad interrogativi sulle mie capacità.
In un mese ho deciso. Roma. Caput Mundi.
Dovevo provare la maratona di Roma e chiuderla portando a casa la mia medaglia.
Ci avevo provato anni fa, sempre alla ricerca di conferme.
Senza iscrizione, senza pettorale. Senza allenamenti seri.
Correvo all’incirca 10-12 km . Volevo provare a farne 21. E ci sono riuscita.
Questa volta ho fatto le cose più seriamente . Per un mese niente mi ha distratto da questo proposito. Determinata ad arrivare fino in fondo, mi sono allenata con i consigli a distanza degli amici. Per questione di tempo ho corso quasi sempre sola.
E la cosa buffa è essermi resa conto che in realtà non si è mai veramente soli. Ogni assenza ha una sua ragione di essere e ogni presenza si materializza al momento giusto.
Ho corso sola ma non sono mai stata sola, in tutto questo mese
Un buon amico ha curato gli aspetti organizzativi, una delle mie compagne di avventura guidava via whatsapp i miei allenamenti. Tanti mi sostenevano con consigli e incoraggiamenti vari.
La squadra in partenza era perfetta: 4 donne unite dal comune obiettivo di vivere quest’esperienza, ognuna per le sue ragioni, alcune molto forti.
La mattina della gara è arrivata e con lei la paura.
Avevo 22 km nelle gambe; ne servivano almeno 30-35. Le scarpe cambiate troppo tardi mi facevano male e la paura di non farcela mi si è parata davanti – Dove credi di andare, piccola paperina che non sei altro? –
Ho pianto strada facendo per il timore di stare avventurandomi in un’impresa più grande di me. Era la mia tendenza di base: tirarmi indietro all’ultimo momento.
Ho richiamato il coraggio, quello che ho scoperto di avere, quello che, molti conservano inutilizzato nell’erronea convinzione che “ a noi, non è stato concesso nella dotazione standard”.
L’ho chiamato e gli ho detto – Tocca a te! Ora è il tuo turno – e ho continuato a camminare verso il punto di ritrovo. Ferma nella mia decisione di andare fino in fondo, questa volta.
Siamo partite ridendo e stringendoci la mano, io e altre come me, alla prima occasione.
Io con il mio mantra nel cuore, le mie amiche con le loro Madonnine bene in vista sul petto.
Non si è mai soli, durante le sfide della vita. La fede è la nostra compagna di viaggio più sincera. L’alleato che ci rende invincibili.
Sono lenta. Subito sono rimasta indietro e ho corso sola. Apparentemente sola.
Volevamo il sole. È arrivato un temporale che ha squassato il cielo. Qualcuno lo ha sfidato gridandogli addosso a sua volta – Tutto questo, quello che sai fare? –
Le bande che hanno accompagnato la partenza hanno riempito di gioia il cielo minaccioso e mentre alzavo il capo a guardare l’orizzonte in lontananza e mi concentravo su ogni consiglio ricevuto , mi guardavo intorno e vedevo gente di ogni tipo , nazionalità, corporatura, età, tutti imperterriti nella loro corsa, uniti nella comune determinazione che nulla ci avrebbe fermato.
Ed è allora che ho compreso che il sole ci accompagnava; era in ognuno di noi e splendeva , caldo e rassicurante.
Senza fermarmi quasi mai, sono andata avanti fino al trentesimo chilometro, quello che mi incuteva timore, perché tutti mi avevano detto che la vera maratona inizia lì.
Camminavo e portavo con me amici, familiari, ricordi belli e brutti; rivivevo la mia vita.
Quando stavo per lasciarmi andare alla malinconia, dal ciglio della strada un anziano signore mi ha gridato: “Sorridiiiiiiii. La maratona si corre così “ e io ho ricacciato indietro le lacrime e l’ho illuminato con il più dolce dei miei sorrisi, e l’ho visto contento di esserci stato, lì, in quel momento della mia corsa solitaria.
E poi un viale alberato che si stava risvegliando alla primavera, quel suo verde tenue da attraversare come sotto un meraviglioso arco di trionfo.
L’arrivo a S. Pietro. Una grande emozione.
Tutti si fermavano a scattare fotografie. Il giapponese che incontravo ogni tanto e che correva con la sua asta per i selfies ben puntata contro tutto e tutti, si è sbizzarrito in ogni genere di posa.
Non ho resistito neanche io. Il Cupolone è il simbolo della città ed essere lì significava che ci stavo riuscendo , a prendere Roma, come ci dicevamo prima di partire.
La parte che temevo era giunta. Avevo superato il trentesimo chilometro.
Improvvisamente ho avvertito una presenza accanto a me. Un uomo, dolorante. Gli ho rivolto alcune frasi di circostanza, abbiamo iniziato a parlare. La pioggia batteva forte, ancora una volta. Parlavamo e avanzavamo alternando una piacevole passeggiata alla corsa.
Ci siamo raccontati parte della nostra vita. Alcune coincidenze nelle nostre storie ancora mi sconcertano.
Infine, svoltato l’angolo di piazza Venezia, ci siamo ritrovati in prossimità del traguardo e quasi non mi rendevo conto di essere arrivata lì, davanti a quell’enorme striscione bianco che rappresentava la vittoria.
Glielo ho anche chiesto – Ma è veramente finita?-
Mi ha invitato allo sprint finale. Gli ho porto la mano , invitandolo ad arrivare così, mano nella mano e finire la corsa insieme.
E correndo mi ha ringraziato – Senza di te non ce l’avrei fatta – e l’ho ringraziato anch’io, per lo stesso motivo
Mi chiamo Paola, gli ho detto tagliando il traguardo
Sono Angelo, mi ha risposto.
Il cuore mi si è allargato… un angeloooo!
Il tempo della medaglia al petto, mi sono girata cercandolo per la foto ricordo. Non sono più riuscita a trovarlo.
Sono rimasta lì, incredula. Con la mia medaglia sul petto.
Mi guardavo intorno e non ci credevo. Ce l’avevo fatta. Ce l’abbiamo fatta tutte. Ce l’ha fatta anche l’anziano signore che ho incontrato tornando a casa. Avanzava sotto braccio dei suoi figli che lo reggevano mentre lui, quasi trascinandosi, procedeva verso il traguardo.
Un amatore, anche lui.
Uno di quelli, come la maggior parte di quei sedicimila partecipanti. Gente comune, che ama vivere, senza arrendersi mai, cercando la meraviglia della vita in ogni momento e situazione, assaporandone il gusto nello sforzo tenace di resistere “Until the end”
P.S.: Sono riuscita anche a non essere l’ultima, come pensavo… ahahahahah
Grande Paola! È stato un piacere davvero averti conosciuta
Sono uno di quei quattro baresi…
Difficilmente dimenticherò il tuo sorriso di soddisfazione per l’impresa conclusa
Un abbraccio