Nessuno si chiami fuori! Ognuno faccia ciò che deve e ciò che può, “scavando con le mani” nel proprio senso di umanità e responsabilità sociale.
Le bare nel parco giochi di “un paese che non c’è più”: danno la cifra di quanto accade, come altri feretri provvisoriamente collocati in un palazzetto dello sport meno di due mesi fa.
Pescara del Tronto è un cumulo di macerie. Che stridono contro ogni anelito dell’animo umano. Devastate anche Amatrice, Accumoli, Illica, Arquata. Borghi sbriciolati. Implosi i sogni e i progetti di chi abita questo dorsale appenninico ormai ridotto a una striscia di detriti che attraversa il cuore dell’Italia.
Crollano lo spazio e il tempo, con un terremoto. Crollano la terra e i cieli. La morte beffa la vita. Le tende un tranello: nel buio, nel sonno. Alle 3.36 del 24 agosto. Poi uno sciame perdurante di altre insidie. A sfaldare il sistema di relazioni, i tempi del quotidiano, i luoghi dell’impegno, i volti della gioia, i profili della tenerezza… Cancellati o quasi, in due minuti di oscillazioni dilatabili all’inverosimile.
In questa contesa, occorrono i gesti. Ci vogliono parole di compassione e di verità sul vivere e sul morire. Urgono voci di giustizia. Ma serve, soprattutto, moltiplicare i gesti che riorganizzino la speranza. Segni di partecipazione e di vicinanza personale e collettiva. Di gratuità volontaristica. Di accoglienza delle fragilità. Di solidarietà concreta a sostegno delle necessità immediate e mediate. Di responsabilità civica: se gli ottomila comuni italiani riuscissero ad abbracciarne cinque soltanto?! Di ricostruzione del tessuto umano e fisico delle comunità colpite. Di norme e procedure più solide e certe, a livello preventivo e all’insegna del bene comune, lungo la mappa della pericolosità sismica. Mai dovremmo dimenticare che la terra ha un respiro: più profondo e più vasto del nostro!
Nessuno si chiami fuori. Ognuno faccia ciò che deve e ciò che può, “scavando con le mani” nel proprio senso di umanità e responsabilità sociale.