
Due uomini, che avevano agguantato la vita mordendola a grandi bocconi
Lupo solitario
Su e giù, su e giù, su e giù. Senza tregua. Come una danza dal ritmo armonico, lenta quel tanto che basta per riuscire a seguirla, ondeggiando con il corpo.
Seduto ad una delle panchine del molo principale, Odisseo si lasciava cullare da quella danza di barche silenziose.
Era inverno. Spirava una brezza fredda e la risacca lo aveva avviluppato nel suo vortice senza fine.
Un lampione illuminava il porto, manchevole della luna che, freddolosa, si era nascosta sotto una coltre di fitte nubi.
Lui stava. Immerso nel buio dei suoi pensieri con una domanda che attendeva risposta ormai da mesi – Che fare, ora?-
Che fare ora che nulla più lo legava ad una vita che si era fatto scegliere?
Una voce lo distrasse dai suoi pensieri. Un accento sconosciuto, frizzante, lo scosse.
–Scusàt- disse la voce- avete visto passare a Nicola ?
Odisseo alzò il capo e incontrò la voce- Nicola chi?-
-Nicola. Quell’uómm grande cu chella sorta panza Nicola. Il responsabile del Marina.
La voce alternava un dialetto verace che dipingeva le sue origini partenopee ad un italiano perfetto, cadenzato da quell’accento particolare che ha chi non vuole tradire le sue origini.
-Non conosco nessuno, qui. Non so chi sia questo Nicola ma, da quando sono qua, non ho visto passare nessuno, se può interessarle.
-Mannaggia. M’ avevà datò appuntamentò. Seeeeee. Fidt. – E la voce si sedette accanto a lui.-Va buon…aspetamm.
E aspettann, le domande seguitarono a richiamare risposte e alle risposte seguirono racconti fantastici di luoghi visitati, di avventure vissute su una piccola barca a vela, stanca ormai di seguire il suo capitano in ogni posto sperduto del mondo. Di Nicola, intanto, nemmeno l’ombra e il tempo passò senza che nessuno dei due interrompesse quella conversazione.
Mentre ascoltava il fiume di parole che lo inondava, Odisseo ebbe la certezza di aver finalmente trovato la risposta che cercava.
Poteva viaggiare; andare per mare.
Andare, libero, a conoscere il mondo.
Per mesi interi si incontrarono ogni giorno, lui e il Capitano. Decisero la rotta da seguire e la sezionarono in tappe con la precisione micrometrica di un bisturi laser: ogni partenza, passaggio, approdo veniva meticolosamente calcolato studiando venti e maree come fossero appuntamenti galanti a cui arrivare sempre in orario.
Scelsero insieme la barca nuova, Lupo Solitario la chiamò il Capitano, che mai nome era stato più azzeccato.
In fondo lo erano entrambi. Due lupi solitari. Due uomini, che avevano agguantato la vita mordendola a grandi bocconi così avidamente che in realtà il suo sapore si era perso rapidamente e che ora erano a lì, ad agognare il silenzio e l’immensità del mare con il desiderio che il suo sapore salato, portato dal vento, riuscisse a risvegliare in loro la vita.
Quando tutto fu pronto, salparono. Con un unico patto a sancire la loro convivenza.
Il Capitano era maestro sull’acqua. Odisseo lo diventava sulla terra ferma. Ognuno offriva all’altro il meglio di sé e accettava, dell’altro, le mancanze ed i limiti.
Erano più che amici, erano più che fratelli. La vita di entrambi dipendeva dalla loro armonia e dal rispetto di quel prezioso accordo.
Con le vele in poppa, affrontarono il mare. Una. Due. Infinite volte. E ogni ritorno a casa liberava Odisseo e allo stesso tempo quella libertà lo rendeva sempre più solitario.
In quella solitudine si conobbe.
Si riconobbe.
Libero finalmente di stare dove desiderava essere.