Un ricordo…
Un uomo dolce. Buono come il suo caffé, il cui odore era sempre lo stesso. Di anni ne erano passati tanti, ma la tostatura di quei chicchi risaltavano il profumo di una gentilezza senza tempo, un amore incondizionato, l’offerta gratuita di una pralina sbocconcellata e divorata con famelico piacere.
Ad accogliermi dietro quel bancone ora c’è Lidia che del papà ha conservato gli occhi curiosi e la simpatia contagiosa. Le chiedo di sua madre, mi confessa che è, ormai, lì ad accudire la sua nipotina. Le parlo di suo padre, mi chiede di scriverci su qualcosa, di ricordarlo, di far conoscere a tutti la sua storia, la sua passione, la sua tradizionale innovazione.
Emanuele Marinacci è volato via con la stessa grazia che gli riconoscevano in tanti, non solo i miei 25 lettori, ma una Città intera, un popolo che si ritrovava in un bar, la sua bottega, prima di disperdersi nei meati di una vita da cui, qualche volta, ci si deve prendere una pausa, un momento di relax da concedersi per rifocillarsi e rigenerarsi, saziando l’anima prima del palato, degustando l’empatia prima ancora di un cremoso cappuccino.
Emanuele e sua moglie Franca, altare limpido e letto fradicio di malattia, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella follia di un’impresa innalzata tra l’incertezza di un futuro che solo dopo avrebbero scoperto essere radioso e riverberato dalla luce dei loro quattro figli. Lidia, ma anche i suoi fratelli Vincenzo e Nicola, e sua sorella Mara, battezzata dalla mia famiglia, Rino e Lena Di Corato, i miei genitori, i suoi padrini o, come diciamo noi meridionali, “compari”.
Un legame indissolubile, il nostro. Parentela innaturale, testamento emozionale di chi resta stampigliato nella memoria per sconfinata bontà e motivata gratitudine. Già, perché ci sono lavori imperituri, attività che si permeano nelle radici di una terra, strade battute da mestieranti che poco hanno a vedere con marchette online, oggi, quasi tutte prive di personalità.
Emanuele e il suo bar, commessura di due campanili, Andria e Trani, prodotti tipici di una Puglia da visitare e commemorare, nostalgiche domeniche preparate a festa da una quotidianità straviziata da contadini che, alle prime luci dell’alba, sostano ancora in quella stazione di speranza e condivisione, la sostanziosa ristorazione per una giornata in campagna. E, poi, professionisti, avvocati, medici, farmacisti, manigoldi, donne e bambini, tutti a parlare, intorno ad un avanguardistico focolare che sa di moka ed espresso, di quel pasticcere che non c’è più, un gentiluomo d’altri tempi, semplicemente l’uomo più dolce del mondo.