Il tavolo gli era stato riservato dal proprietario del locale, il Chicote, dove amava trascorrere interminabili pomeriggi sorseggiando cognac e fumando sigari cubani che, in modo fiero, offriva da guascone ai suoi commensali. Mentre davanti guardava un’abbozzata e mal riuscita riproposizione del cam cam francese, alle sue spalle un impettito giovane di nome Pablo Picasso si accattivava le simpatie del terzo portiere del Barcellona Calcio, un certo Salvador Dalì. Lo scenario è quello regale della Madrid dei primi Anni Cinquanta, e nel locale stracolmo di attori, sportivi ed artisti, c’era anche lui, il più grande torero di tutti i tempi, Luis Miguel Dominguìn.

Manolete, altro torero dal nome mitico, era certo ardimentoso, sfrontato, sfacciato ma ciò che caratterizzava la tempra di Dominguìn era l’assoluta indipendenza intellettuale, la freddezza con cui schivava le incornate dei tori lo aveva supportato anche negli altri aspetti della corrida di tutti i giorni. Pare che nessuna ma proprio nessuna poteva resistergli. L’attrice Ava Gardner si invaghì di lui durante una serata di Gala, ma quando arrivò il momento di convolare a nozze, Dominguìn optò per la seconda Miss Italia della storia, Lucia Bosè, incoronata nel 1947 la più bella tra le belle, esponente di spicco della categoria di “maggiorate” che fino a quel momento aveva dato da vivere a straordinarie donne, quali Silvana Pampanini e Gina Lollobrigida.

Consultando gli archivi epistolari del più grande ufficio postale castigliano, si scopre che, all’epoca, bastava indirizzare una lettera al “Señor n.1” per far sì che questa fosse consegnata direttamente a Dominguìn, destinatario di attenzioni addirittura superiori a quelle che di solito spettavano a pittori o calciatori. È stato Ferenc Puskas a raccontare di quella sera in cui Picasso, bravo ragazzo per carità ma quasi sempre alticcio, gli promise, con Dominguìn testimone, un quadro ogni dieci gol del dieci blanco. Non possiamo asserirlo con certezza ma, in qualche remoto angolo dell’Ungheria, ci dev’essere un esclusivo museo sul cubismo.

Soy toro en mi rodeo, soy torazo en rodeo ajeno”. La vita di Dominguìn è tutta qui, in questo passo del Martin Fierro, poema epico scritto da Josè Hernandez e capolavoro del genere gauchesco in Argentina e Uruguay. “Sono un toro a casa mia, sono ancor più grande in terra straniera”, è stato l’inno dei contadini spagnoli, toreri che vivono di slanci romantici ostentando l’esuberanza di chi lotta per sopravvivere rivalutando anche le gesta di chi li ha preceduti, dei gauchos, appunto, non più fuorilegge ma genuini rappresentanti di giustizia e libertà.

Dominguìn inseguiva i valori ad alto rischio, condiva di adrenalina gli evanescenti ideali franchisti, circondava di pragmatico disdegno tutti quelli che lo osannavano, era sprezzante verso quello che faceva, ma lo faceva con l’orgoglio di toccare costantemente la morte sua e dell’animale, in tutte le stagioni anche in Un’estate pericolosa così raccontata, in suo onore, da Ernest Hemingway:

’Diventa poco logico e sensato vedere come farsi ammazzare da un toro, ma al suo cospetto non c’erano bocche amareggiate, perché le parole si intrecciavano con i sentimenti, qualunque cosa avessero visto gli occhi’’.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.