Non so quante volte ho sentito dire: porterò tuo figlio al San Siro. L’ho portato!
Il ragazzo cantava lento e assorto e la città correva. Correva in auto, in tram, in bus e, nelle viscere, correva pure in metro. Che diavoleria poi scendere per andare nei tunnel come talpe cieche.
“Che c’è di strano, eravamo tutti là”.
Sali, scendi, cambia, guarda i colori delle linee, la rossa si incrocia con la lilla, ricordati il nome del capolinea. Risali. “ Tutta questa gente intorno a noi che fa?”
Continuava il brano indifferente al semaforo: “Ricordi il gioco dentro la nebbia, tu ti nascondi e se ti trovo ti amo là”. Magari mi trovassi, magari nascondersi fosse solo gioco di cuore e non un tentativo disperato di salvezza. Il ragazzo in realtà in metro non c’era mai sceso. Un solo aereo nella sua vita aveva preso e , nella novità, neanche aveva avuto il tempo per capire se volare gli piaceva.
Non aveva visto granché perché il suo tempo era finito troppo presto. Sveglia molto mattutina, prima dell’alba, stop, alt. Amava le stazioni il ragazzo, figuriamoci come sarebbe stato a casa negli aeroporti.
Milano è cambiata, ha più moda, più verde sui palazzi verticali, si irrigano anche i balconi piccoli in modo automatico.
Il cane ha il collarino griffato, fa la cacca col logo, le auto spaziali del centro sembrano planate dall’alto, scendono giovani donne con le gambe lunghe e capelli profumati come seta. Parlano solo tra loro: altra razza umana.
Il ragazzo non guardava mai gli sfavillii delle vetrine, aveva la testa nei suoi pensieri e poi si sarebbe fermato a parlare col barbone che sistemava bene il cartone per la notte. Non si schifava dello sporco del corpo, i cani randagi lo riconoscevano da lontano.
“Facciamo cambio, prenditi pure quel po’ di soldi quel po’ di celebrità”. Il baratto era a monte, bastava ascoltare il testo. Si vince e si perde e spesso il pareggio è negli ignavi. Niente ricchezza, nessuna fama ergo nessun cambio.
Il ragazzo cantava e la strada scorreva.
L’ho rivista con gli occhi miei la città, con l’amica che mi ha accompagnato in ogni dove con generosità e innocenza. Mi ha mostrato la sua casa lontana da casa, il suo nuovo amore.
Le ho detto: “Adesso ci perdiamo”. Mi ha rassicurato che non ci si perde a Milano.
Ma io volevo nascondermi e non c’era nebbia, un sole da sud che spacca le pietre, pardon, l’asfalto che brilla coi glitter.
No, non ho trovato freddo e schifo, non è vero che non ce la faccio più.
“Milano mia portami via” – il ragazzo cantava in macchina e suonava – “i miei vent’anni e una ragazza che tu sai”. “Milano scusa, stavo scherzando, luci a San Siro non ne accenderanno più”.
Bugia, San Siro sfavilla perché è gremito dei figli nostri.