«Un cuore è una ricchezza che non si vende e non si compra: si dona»

(Gustave Flaubert)

Caro lettore, adorata lettrice,

non so se capiti anche a te, ma se hai più o meno la mia età (diciamo che, in altri tempi, sarei potuto già andare in pensione…), è probabile che pure tu, come me, ti trovi a riflettere sulla labilità delle cose, sulla facilità con cui il tempo, a poco a poco, come un filo d’acqua che spiana una montagna e la rende valle, sia capace di portar via cose e persone. Di cancellarle. Di farcele dimenticare. O anche di farci dimenticare.

Certo, tutto quello che facciamo, molto spesso, va nella direzione opposta: proviamo a salvare, a curare, a mantenere e mantenerci nella memoria.

Ma il tempo passa. E con esso noi.

È proprio questa la ragione per cui più dovremmo difendere chi ci ama, chi ci dona l’unico bene, ricorda Flaubert, che sarebbe vile provare tanto a vendere quanto a comprare: il cuore.

Nondimeno, altra stranezza dell’animo umano, non di rado proprio a chi ci ha dato tutto noi restituiamo niente, violentando la delicatezza della sua ferita indifesa, sordi e muti al suo grido inespresso.

È allora che, pur travestiti da inermi, facciamo stragi. Magari invisibili, apparentemente incruenti. Ma stragi vere, tanto più dolorose quanto silenti.

Ecco, a tutte le Margherite spezzate sul ciglio della strada, vorrei ricordare quanto siano belle, quanto siano capaci di attirare l’attenzione anche del viandante frettoloso oppure occupato.

E vorrei ricordare loro, se mi fosse concesso, il segreto celato e disvelato nelle parole di un proverbio giapponese: «Non sorridiamo perché qualcosa di buono è successo, ma qualcosa di buono succederà perché sorridiamo».

L’importanza di un sorriso.

Una margherita, pur recisa, mantiene fino all’ultimo momento la sua luce, i suoi colori, la delicatezza del suo profumo.

Il fango, invece, non cambia natura. Rimane fango. Che sia fresco o prosciugato.

Il fango, però, può confermare il senso della propria dignità.

Vale a dire: puoi provare a sommergermi quanto vuoi, ma io continuerò a spuntare, a risorgere, perché io sono fiore e tu no, io ho un seme e tu sei solo terra per le mie radici.

Andrea Lenti ricorda: «A volte bisogna lasciar perdere e, credetemi, ci vuole più coraggio».

O forse è questione di toccare un punto in cui nulla più ti può più far male. Beato chi ci arriva. Ancor più fortunato chi ci arriva pur non spinto dalla necessità.

ʿAlī ibn ʾAbī Ṭālib: «Distacco non significa che tu non devi possedere nulla. Significa che nulla dovrebbe possedere te».

Lascio il canto a Mannoia su un magnifico testo di Luca Barbarossa:

«Luce, luce dei miei occhi dove sei finita
lascia che ti guardi, dolce margherita
prendi la tua strada e cerca le parole
fa’ che non si perda tutto questo amore,
tutto questo amore».


FontePhotocredits: Paolo Farina
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...