Lo cantava John Lennon: “L’amore è toccare, il tocco è amore”.

In una interconnessione sociale ormai facilitata da mezzi e strumenti a tecnologia touchscreen, in un mondo di persone che attraverso uno schermo tattile si mettono in connessione con altre persone, viene da chiedersi se tanta e raffinata tecnologia non possa riequilibrare il peso delle relazioni umane vere, quelle fatte di tatto e di contatti.

Se la storia ci racconta che la prima macchina da scrivere fu inventata a fine ‘800 per consentire ai ciechi di comunicare e ad oggi un sintetizzatore vocale touchscreen consente a malati neurologici di “parlare” anche senza voce ecco che il passato ed il futuro dovrebbero farci ragionare su come, nel tempo, la necessità di comunicare tra esseri umana sia stata e sia un bisogno fondamentale della specie.

Questo mondo virtuale sempre più tecnologicamente perfetto, che ci risparmia anche la fatica di spingere su un tasto per vedere impressa una lettera alfabetica, oggi ci offre una incredibile opportunità, se la sapessimo cogliere.

L’arte del toccare, inteso come capacità sensoriale di riappropriarsi del tatto.

In punta di dita possiamo riavere indietro esperienze emozionali perdute nel tempo.

Una ritrovata educazione dei sensi, del tatto e del contatto, dalla stretta di mano alla carezza.

Quanto esercizio ci vuole per un neofita della telefonia touch per imparare la capacità di sfiorare quello schermo, con la giusta pressione, con la delicatezza necessaria, per ottenere il risultato di un applicativo visibile?

Abituati come eravamo a schiacciare, digitare, pigiare, oggi la modernità ci chiede di essere invece delicati, scorrevoli, fluidi, intuitivi.

E se trasferissimo tutto ciò nelle relazioni umane?

L’essere umano è un grande ma piccolo schermo multifunzionale.

Lo schiacci e non funziona, ma se lo sfiori appena si accende.

Dei sensi il tatto è quello più bisognoso di avvicinamento. In cambio, rispetto agli altri sensi non ha una sede sola. È sparso sull’intera superficie. È il più elettrico dei sensi, il primo che si sveglia nel grembo della madre, fratello maggiore degli altri .

La mano è solo qualcosa che prende e porta? Che digita e scivola su un display?

No, dà forza alla voce, continua per te se rimani privo di parole o se non ne hai.

La mano è il linguaggio senza voce, le dita il suo meraviglioso strumento.

Accarezziamoci.

E la carezza diventa soprattutto una metafora quando e laddove essa va al di là della intenzione di toccare, per suscitare nobili pensieri, nuove parole, inaspettati sentimenti non solo in ambito personale, ma anche in campo sociale.

Siamo tutti schermi tattili in attesa di carezze.


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Classe 1964, piemontese di Asti, legata affettivamente ed intellettualmente alla città di Andria. Sono un'infermiera che a bordo di una panda compie viaggi di cura e di relazioni umane utilizzando la narrazione come canale comunicativo e terapeutico. In un mondo sempre più frenetico e in una sanità sempre più medicalizzata la vera rivoluzione è prendersi tempo, il tempo della relazione, dell'aiuto, dell'ascolto, della condivisione. Scrivo per passione e per necessità. Ogni viaggio è un romanzo sulla punta delle dita, ogni storia è per me una pagina bianca su cui rielaborare un percorso di cura sia per la persona sofferente che per me stessa. Promuovo e sostengo nel quotidiano un modello di vita slow e nell'attività professionale adotto un modello sistemico di cura e relazione secondo la Slow Medicine.