ATTENZIONE: il seguente articolo contiene ingenti dosi di sarcasmo e ironia. Tra le altre cose, quindi, si raccomanda di assumerne le parole a piccole dosi, in caso di intolleranza alla suddette sostanze. Per eventuali denunce o minacce di morte, lasciate un commento qui sotto accompagnato da #jesuischarlie, giusto per individuare meglio le critiche.

Come ogni otto marzo, ecco arrivare puntuale il giorno in cui si smette di inneggiare alla parità dei sessi e si erige la donna a dio in terra. Ci si mette ad adorare la figura femminile dimenticandosi il buon senso a casa, armandosi di orgoglio femminista (un po’ come i dittatori fanno con quello nazionalista) e che la festa delle contraddizioni abbia inizio: festeggiarla, specie per come lo si fa oggigiorno, significa contraddire ciò per cui è stata istituita.

E così, semplicemente ribaltando i ruoli e per un solo giorno, si mette qualcuno un gradino più su degli altri determinando il problema opposto, ovvero la discriminazione dell’uomo, il cui valore in questo giorno si riduce a quello di un mucchio di polvere eccessivamente privilegiato e sentendosi autorizzato quindi, per assurdo, a creare una giornata in sua tutela. Con la sola eccezione che verrebbe immediatamente dopo incriminato di maschilismo e premiato con una cottura a 180° per venti minuti in una location a scelta tra rogo o forno tradizionale. Ecco la contraddizione, chiara come il sole.

E la si noti poi anche consultando le definizioni di maschilismo e femminismo su un vocabolario: il primo indica la supremazia maschile, il secondo l’eguaglianza dei sessi, di conseguenza solo idolatrare l’uomo è un atto di spregiudicata meschinità tanto da coniarci un vocabolo, ma semanticamente farlo per la donna equivale a metterla sullo stesso piano dell’uomo, e quindi cosa buona e giusta. Un po’ come dire che rubare agli altri vada bene, ma non essere derubati.

Il miglior modo di emancipare la donna dai pregiudizi è farlo sottovoce, rendendolo un atto ordinario, altrimenti questo diventa una specialità dell’otto marzo e solo di quel giorno. Smettiamola per piacere di farne un evento di stato ogni volta che una donna muore, viene maltrattata, assunta, licenziata, si laurea, attraversa la strada col verde, parcheggia senza allertare la protezione civile, arriva prima alla coda delle poste o apre un barattolo di conserve.

È un ridicolo siparietto che dimostra tutto il vostro ridicolo perbenismo, la vostra stoltezza e scarsa comprensione della causa per cui tanto vi battete. E sì, mi riferisco specialmente a voi donne. Tutte insieme unite e convinte di dover puntualmente sminuire l’uomo in qualsiasi cosa pur di accrescere una qualche controversa forma di orgoglio personale e a ridurlo a quella figura di porco, orgoglioso e traditore di professione tanto cara al Paese dei luoghi comuni. Ricordate che questo si chiama sessismo, lo stesso che condannate nei restanti giorni dell’anno.

Prendetemi pure per un maschilista frustrato e invidioso dell’attenzione che ricevete, ma in fondo lo sapete pure voi che è la vostra stessa cieca e sconclusionato doppiogioco a far dimenticare agli altri che siete donne dopo quelle fatidiche ventiquattro ore. Io, fossi in voi, più che ad affumicarmi di mimose e cioccolato, penserei a come fare per rendere quella tanto amata festa obsoleta. Quella sarebbe la vera vittoria. Altro che farvi capire cosa sia un fuorigioco.