Quando la casa diventa carcere…

La storia di Diana Pifferi, la bimba morta di stenti perché abbandonata in casa dalla mamma, ha risollevato la questione maternità come diritto e non dovere della Donna.

I figli non chiedono di essere messi al mondo. Se lo si fa, ci si deve assumere la responsabilità.

Pare che il desiderio di maternità sia insito nella Donna, faccia parte della sua indole, rappresenti lo scopo ultimo del suo essere al Mondo, affinché a quel Mondo possa essere in grado di regalare una o più vite, la forza procreatrice di generare felicità, la propria e quella dei suoi figli.

Già, pare. Perché ai più attenti di voi il suddetto concetto può sembrare maschilista, e forse lo è, lo diventa, sicuramente, se incastonato negli anfratti sociali di un cliché atavico, un luogo comune mai aggirato, come gioielli di una corona da porre sul capo di una Regina, la custode del focolaio domestico a cui nessuno riconosce stima ed apprezzamento, a cui nessuno assegna ruoli o importanza.

Saranno sempre gli attenti di cui sopra a contestare la generalizzazione dell’argomento, adducendo scuse di un’emancipazione ormai conquistata, l’alibi di una catarsi culturale che appiani divergenze ed ingiustizie, l’inutile confronto fra epoche, caldeggiando, magari, una modernità che, invece, cela sgomitate ed ansie.

Come se quel grembo lievitante fosse l’obbligo morale che una donna adotta per definire se stessa, quasi a giustificarne la partecipazione alla polis, fondamentale radice di un albero genealogico che finisce per schiacciarla sotto i roboanti caratteri di un cognome che non le appartiene, nonostante la recente giurisprudenza ne stabilisca l’aggiunta.

Si parva licet, si potrebbe, a ragione, obiettare che Madre Teresa non si sia sentita meno realizzata nella scelta di non partorire, quella decisione è conseguenza di un pensiero che non ha mai smesso di abbracciare la libertà. Ed è proprio secondo questa libertà che tenta di muoversi l’ego femminile, sia chiaro, non per venir meno alla ratio di un’altruistica responsabilità, ma per sancire il suo sacrosanto appetito di Felicità, la fame che, nel Primo Novecento, sfornava progenie decuplicata dalla formazione di braccianti, forza lavoro per campi seminati da miseria e sopravvivenza.

Chiunque, cum grano salis, si accorgerebbe della proliferazione di quote rosa nelle pubbliche e private mansioni, ma a che prezzo? Qual è lo scotto? Oggi come oggi la Donna non ha ottenuto ciò che ha ottenuto sostituendolo a ciò che faceva prima, ha semplicemente aggiunto compiti da svolgere. Succede così che, dopo un’estenuante giornata in ufficio, la Donna torni a casa per essere colf, madre e moglie, una commistione di competenze potenzialmente vulnusdi una serenità da tramandare, nonostante la mortificazione di un gap salariale e la diminutio intellettuale a cui deve, vergognosamente, sottostare. Le stanze, allora, diventano carceri da cui evadere, quadri senza cornice, incapacità di intendere e volere impossibili da giustificare.


FonteFoto di bess.hamiti@gmail.com da Pixabay
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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.

3 COMMENTI

  1. Vabbè ma la casa in cui si abita, va amministrata, in quanto c’è, esiste e lì si vive, si fa’ convivialità, ecc. Cosa si intende quindi con:
    “dopo un’estenuante giornata in ufficio, la Donna torni a casa per essere colf, madre e moglie”
    C’è il marito che, anche lui, dopo un’estenuante giornata in ufficio, torna a casa e collabora per alleggerire e condividere il peso delle fatiche della moglie. Un peso che è fatica di vivere, non v’è altra soluzione. Certo che nelle case degli italiani lavoratori, a svolgere le faccende domestiche, non verrà la colf di Letta o della Boldrini. Dovranno svolgerli loro: marito e moglie o, dipende a volte (se uno dei due lavora fuori), anche solo uno di questi, che sia donna o che sia uomo.
    Questo continuo e insopportabile romanzare la donna come se fosse la vittima assoluta della società è una prospettiva solo neo-progressista che non corrisponde a realtà.
    Vogliamo parlare dell’uomo, della o delle sue fatiche quotidiane? Anche dell’omaggiare la sua donna quale sua regina? (so che non vi piace la “sua donna” ma chi le ama lo dice e ama sentirselo dire: è tenerezza).
    Vogliamo prendere ad esempio ogni tanto coppie di sposati virtuosi che vivono innamorati pur in mezzo ad una società schizofrenica pervasa da un neo-progressismo militante e malato?
    Vogliamo parlare dello sfruttamento sul lavoro subito dagli uomini nelle sue molteplici forme? Vogliamo parlare di alcune dinamiche lavorative che favoriscono le donne in ambito lavorativo a discapito degli uomini?
    Vogliamo smetterla di trovare ogni diavolo di scusa psicologico-sociale per ogni donna che commette reato?
    Mai tale analisi psico-sociale con relativa pietà, viene riservata agli uomini che si ammazzano o, addirittura, al dolore straziante e profondo come l’abisso del mare, che può condurre un uomo al delirio e a commettere primo un omicidio/femminicidio e poi immediatamente il suicidio. Suicidio. Morte cruenta. Morte nel dolore e nel sangue. A volte nella miseria, nella sconfitta, nella solitudine.
    Ecco perché il PD (dietro le parole di questo articolo c’è tutta la mentalità neo-progressista, per questo viro sulla politica come legittima conclusione) è profondamente in crisi: la narrativa romanzata dei suoi modelli o prototipi sociali, offende le persone “normali” e le indigna. Le indigna l’arrogante pretesa sulla vita e sulle idee che una minoranza neoprogressista vuole imporre con la sua militanza (un po’ come i Testimoni di Geova, ma questi sono più cordiali).

    Post-scriptum: partorire è, per certi versi, un coronamento della donna, che diviene coronamento anche del marito e poi della società intera. L’esempio con Madre Teresa di Calcutta è strumentale alle logiche neoprogressiste (che gli italiani sanno, sono logiche deleterie per il bene comune, anche perché, scavalcano e pervertono le legittime logiche progressiste).

  2. Gentile Sig. Nunzio,
    la ringrazio per aver letto il mio articolo. Se ciò che ho scritto ha generato in lei l’intenzione di un contraddittorio vuol dire che il mio obiettivo di smuovere le coscienze è stato centrato. Vivo la mia disabilità, probabilmente, con la stessa percezione che una Donna ha di essere tale. Lotto quotidianamente contro stereotipi e clichè di cui lei mi sembra strenuo portatore. Lotto contro questa stessa lotta che non ero tenuto a fare, eppure mi batto affinchè quel principio di uguaglianza mi sia assegnato di diritto. Veda, Sig. Nunzio, di parole, negli anni, son state spese tante, ma nei fatti poco cambierà se tutti continuiamo a pensare al nostro Ego, se tutti continueremo a non saper indossare gli abiti dell’Altro. Esistono anche forme di violenza perpetrate da Donne nei confronti di Uomini, nessuno dice il contrario, ma è questa catalogazione ad instaurare il Male in ognuno di noi. Perchè citare Uomini e Donne, Disabili e Normodotati, Bianchi e Neri, Israeliani e Palestinesi, Cristiani e Buddisti? Non siamo forse tutti sotto lo stesso cielo? Non siamo tutte creature dello stesso Dio? L’uomo si dedica alle faccende di casa? Giusto così! Ambienti lavorativi favorevoli alle Donne con l’abbattimento del gap salariale? Giusto così! Supporto psicologico femminile? Giusto così! Proseguire in questa direzione non implica l’arretramento maschile. L’esempio di Madre Teresa è certamente strumentale, lo strumento attraverso il quale Dio serviva l’umanità senza distinzione di fede, razza o sesso. Se lei, Sig. Nunzio, citofonasse a casa mia, le aprirei come ho sempre fatto anche con i testimoni di Geova, le offrirei una bella tazza di thè, e cercherei di spiegarle che le sue amatissime LOGICHE NEOPROGRESSISTE non sono altro che vani tentativi di celarsi alla Verità. E la Verità non appartiene alla politica, ma al nostro cuore!

  3. Leggo spesso e volentieri i suoi articoli, addirittura per caso, magari mi interessa l’argomento e poi scopro che è lei l’autore. Ricordo, benché vagamente, che lei è un autore sensibile. Mi spiace ma lei ha frainteso quanto ho scritto. Io ho scritto sostenendo che i cliché sono neoprogressisti, quale io non sono, ma lo sono quelli che affermano di “combattere” per i diritti di categorie specifiche (ma non entriamo nel merito, sono in aeroporto e non c’è tempo), come lei dice di fare. Nulla di male per carità, tranne per il fatto di assurgere tesi scorrette (nel senso che sono sbagliati i modi di “lotta” e il contesto in cui crescono: il neoprogressismo) come paradigma per l’intera società.
    Perché, mi chiedo, lei abbia potuto “giudicarmi”? Io non ho cliché. Ho spiegato bene quanto ho scritto prima, allora mi chiedo, perché non sono stato capito? Ah! Già, l’autore è neoprogressista, cioè crede che la sua lotta è santa.
    Non voglio punzecchiare inutilmente, ma spingere a riflettere per amore anche della sua sensibilità: si liberi dalla prigione mentale del paradigma neoprogressista. Mi creda, è deleterio.

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