Il percorso di Manuel DeLanda
Ci sono figure che, pure molto note e lette per aver dato rilevanti contributi incentrati su diversi temi e aver alimentato serrati dibattiti, vengono indebitamente mutilate di alcune componenti fondamentali del loro percorso come è successo, ad esempio, in Italia dove è stato quasi del tutto messo da parte il costante dialogo avuto da Gilles Deleuze con le scienze contemporanee ed in particolar modo con la matematica e la fisica dei modelli complessi; o sono quasi del tutto ignorate come Manuel DeLanda, uno dei pensatori che all’estero è al centro da diverso tempo di costante attenzione per aver dato sostanza teorica al cosiddetto ‘nuovo materialismo’, orientamento di pensiero emerso grazie al confronto critico con le diverse poste in gioco dell’articolato percorso deleuziano, sino ad esserne uno dei più maggiori interpreti col distanziarsi nettamente da interpretazioni più in voga. Ne sono stati, infatti, sviluppati da parte di questa figura in diverse direzioni alcuni nodi concettuali ed estesi in vari campi col ritenerli strumenti indispensabili per avere una idea più oggettiva della realtà e di quella sociale in particolar modo in continuo cambiamento in cui siamo immersi; oggetto di analisi è l’avvento della società digitale col prendere in debita considerazione le inedite trasformazioni introdotte da tale tecnologia sia con l’obiettivo di evitare interpretazioni fuorvianti dei fenomeni della rete, col loro inedito impatto nel campo umano, e sia quello di fornire alle scienze sociali, alle prese con continui tentativi di dare risposte adeguate ai sempre più complessi rapporti tra micro e macro, tra individuo e società, un ancoraggio alla loro specifica ‘ontologia’ o ‘materia’.
Tutte queste tematiche pongono sul tappeto questioni ritenute rilevanti che non possono essere affrontate con gli strumenti dell’approccio tradizionale, considerato ‘riduzionistico’, in un’importante opera del 2006 che merita di essere tradotta come A New Philosophy of Society: Assemblage Theory and Social Complexity; Manuel DeLanda, di origine messicana ma completamente immerso nel plafond filosofico-scientifico europeo, continua in tale lavoro il dialogo critico da una parte col pensiero di Deleuze con l’inserirsi così pienamente con una propria proposta in un dibattito teso a ridefinire il sociale come quello messo in atto, ad esempio, da Bruno Latour presente in Riassemblare il sociale. Actor-Network Theory (Milano, Meltemi Ed. 2022). E dall’altra ci offre una lucida analisi dei limiti dei paradigmi, presenti in certi percorsi delle scienze sociali, con l’avanzare una articolata teoria della rete incentrata strategicamente sul pensiero della complessità. Tale strada è ritenuta una ‘terza via’ per uscire dalle aporie delle vecchie visioni e per approdare a quella che viene chiamata vera e propria ‘ontologia sociale’; in essa viene assegnato un ruolo non secondario, con le diverse poste in gioco, alle ‘proprietà contingenti’ ed emergenti, entità che richiedono, pertanto, una diversa attenzione critica per essere colte nel loro pieno spessore non riducibili a punti di vista di natura soggettiva e non viste come frutto di pure e semplici comportamenti e convenzioni sociali.
Ma tale punto di vista non lo si può capire appieno se non si tiene presente un precedente lavoro scritto nel 2002, dove il percorso di ricerca messo in atto da Manuel DeLanda rivela tutta la sua sostanza teoretica nel presentarsi programmaticamente come un viaggio nel “mondo di Deleuze” col situarsi criticamente tra “le pieghe” del suo pensiero; e si deve al giovane ricercatore Andrea Colombo la traduzione di tale opera dal significativo titolo Scienza intensiva e filosofia virtuale (Milano, Meltemi Ed., 2022). Essa è accompagnata da una sua breve ma articolata prefazione dove si evidenziano quelli che giustamente chiama diversi ‘paradossi’ che hanno “letteralmente contrassegnata la storia” di questo libro a partire dal primo ‘temporale’ e dovuto al fatto che sia apparso vent’anni dopo pur essendo l’autore noto all’estero e Deleuze molto letto in Italia, un secondo ‘formale’ nel senso che non appartiene ad una precisa scuola pur avendo adito a intensi dibattiti, ed un terzo più importante, quello ‘metafisico’, “il paradosso di un Deleuze materialista” oltre ad essere un “filosofo realista”.
Ma tutto è dovuto al fatto che questo libro da un lato, come viene chiarito nell’introduzione dallo stesso DeLanda, è rivolto ai filosofi analitici della scienza per prendere atto che molti dei loro problemi sono gli stessi affrontati sia pure da un’altra angolazione da parte del pensatore francese, e dall’altro a molti lettori appartenenti ad diverse aree culturali che, per vari motivi, non si sono cimentati con le sue profonde riflessioni sulla matematica e sulle scienze col dimenticarsi del fatto che in Francia, sin dalla seconda metà dell’Ottocento, si è prodotta una ricca letteratura chiamata critique des sciences; questo ricco capitolo del pensiero epistemologico, solo in questi ultimi tempi al centro di una più adeguata attenzione critica, è stato incentrato in particolare modo sulla matematica, considerata conoscenza tout court, da arricchire di ulteriori prospettive quel poco noto capitolo della philosophie mathématique, tipica della tradizione francofona sin dalla stagione cartesiana e che spiega anche prima certe posizioni degli Enciclopedisti e poi quelle di Auguste Comte. E non caso Andrea Colombo ci ha offerto una dettagliata ricostruzione storiografica dell’intenso dibattito sulla natura concettuale delle matematiche, avvenuto nei primi decenni del secolo scorso in tale tradizione di ricerca; e tale percorso viene a situarsi sulla scia delle importanti indicazioni di DeLanda, nel suo recente lavoro Immanenza e molteplicità. Gilles Deleuze e le matematiche del Novecento (Milano-Udine, Mimesis 2023), opera che viene a colmare questo vuoto interpretativo nei confronti del pensiero di Deleuze con l’evidenziarne le diverse ‘virtualità’ e ‘pieghe’. E nello stesso tempo aiuta a capire meglio gli esiti e i punti di vista del pensatore messicano che, insieme ad alcuni protagonisti del pensiero complesso come Mauro Ceruti e a pochi altri come ad esempio Giuseppe Longo (La matematica come produttrice di conoscenza e di senso, 16 marzo 2023), stanno portando avanti un discorso strategicamente imperniato sul ‘senso’ delle scienze, al di là della tradizione analitica, con risvolti antropologici non di poco conto che si stanno rivelando strumenti sine qua non per entrare nella ‘quarta umanità’ e gettare le basi di un ‘nuovo Antropocene’, di cui si avverte una sempre maggiore necessità.
In tal senso si muove Scienza intensiva e filosofia virtuale di DeLanda che, nell’invitare la filosofia a dialogare con le matematiche e la fisica con l’ottica deleuziana nel situarsi tra i suoi diversi enjeux nel senso di Gilles Châtelet (Gilles Châtelet: le virtualità di una vita, 25 novembre 2021), ci mette di fronte alla necessità di fare i conti col reale senza mentire nei suoi confronti come percorsi tutti tesi ad esplorarlo nelle diverse profondità con i ‘mille significati’ intrinseci, come diceva Simone Weil; e tra le varie ‘sfide’, come le chiama Andrea Colombo, che tale testo porta nel proprio corredo concettuale, c’è quella di ‘fare ontologia’ nel ‘posizionare i concetti di Deleuze in un dibattito diretto e serrato con (e contro) alcune idee scientifiche’. Da questo incontro-scontro, tipico di ogni sano percorso teoretico, vengono fuori nuovi strumenti concettuali in grado di ‘crearne di nuove ed ulteriori, nonché di indagare le strutture portanti di quella che chiamiamo realtà’, approccio che porta DeLanda per Colombo a considerare Deleuze non solo un ‘filosofo realista’, ma anche un materialista estremamente coerente’, un ‘radicale morfologo’’ per la sua capacità non comune di assegnare alla filosofia il compito di ‘dare una spiegazione delle forme e del loro variare sulla base di un mondo che c’è’; vi vengono, infatti, a giocare un ruolo decisivo ‘l’immanenza’ e la ‘materia’ di una realtà con le intrinseche ragioni di fondo in quanto attraversata da processi ed entità che pur mutabili non sono riducibili alle ‘soggettività’ che li percepiscono. Da tenere presente che ad un analogo percorso con altri strumenti era approdato un’altra figura francese Raymond Ruyer (Raymond Ruyer: il ritorno della filosofia della natura, 9 settembre 2021), oggetto di studi insieme ad un’altra figura non nota come Louis Weber del primo Novecento; e non è dunque un semplice caso se queste figure, come l’interesse per Deleuze dialogante con le scienze, vengano recuperate da parte di un altro giovane ricercatore come Daniele Poccia (Louis Weber, Il ritmo dell’immanenza, trad. it, e introduzione a cura di D, Poccia, Milano-Udine, Mimesis 2022) col l’obiettivo di farne emergere la dimensione antropologica, risorsa strategica per i problemi odierni come del resto una recente storia della filosofia ha ben chiarito (Una storia della filosofia sulle orme di Simone Weil, 22 giugno 2023).
Tale ‘paradosso metafisico’ viene a chiarire meglio la ‘svolta ontologica’ che diversi studi deleuziani vi hanno intravisto e, se ben metabolizzato, per DeLanda e per lo stesso Colombo, può contribuire a gettare le basi di un percorso, si potrebbe dire post-analitico, dove possano incontrarsi la filosofia e la scienza, a cui certa filosofia ‘non è abituata’ col dare così a Deleuze ‘un ruolo in cui, sinora, non era mai stato riconosciuto’; per questo, Scienza intensiva e filosofia virtuale porta con sé un altro obiettivo, quello di cogliere le prospettive dentro la “matematica del virtuale” col dare il giusto peso epistemico allo strategico concetto di Bernhard Riemann, quello di molteplicità, e a quelli di spazio “sottoposto a transizioni discontinue” e poi di tempo come alle leggi della fisica; in tal modo esso porta con sé un’altra non secondaria sfida, quella di presentarsi come ‘un libro continentale per gli analitici, e analitico per i continentali, contemporaneamente’, come sottolinea molto opportunamente Andrea Colombo. Ma, come tiene a precisare DeLanda nella prefazione all’edizione italiana, sono stati in particolar modo i risultati scientifici relativi alla morfogenesi che ancora non avevano ricevuto nel senso di Bachelard una adeguata filosofia e accumulatisi nel corso dell’ultimo secolo, che lo hanno portato ad interrogare Deleuze e a vederlo come un materialista in quanto si era reso conto di questa strategica “risorsa al di fuori della filosofia” col farne “un uso indiretto mescolandola ai concetti di alcuni pensatori ben più antichi”.
Ma c’è un’altra risorsa razionale di non poco conto, implicita nel ‘fare ontologia’ alla luce delle ‘virtualità’ presenti nelle varie scienze e viste con l’ottica deleuziana, che permette a DeLanda di trarre un progetto sul piano teoretico più umile ma nello stesso tempo più pregnante, quello di ricavare da un pensatore non tanto gli strumenti per “pronunciare delle verità o di stabilire dei fatti”, ma quelli più in grado di farci “distinguere all’interno della grande popolazione di fatti veri quelli che sono importanti e rilevanti, rispetto a quelli che non lo sono”, insieme allo sforzo continuo nel renderli il più possibile ‘veridici’, come diceva Gaston Bachelard nell’ultima sua opera di carattere epistemologico dal significativo titolo, anche alla luce del percorso di DeLanda, Le matérialisme rationnel del 1953. Un sano discorso di riflessione filosofica, appunto perché ha che fare con le ‘infinite ragioni del reale’ emergenti grazie ai processi conoscitivi messi in essere dalle diverse scienze come le chiamava Leonardo Da Vinci, ci porta in dote “l’importanza e la rilevanza e non la verità, concetti chiave nell’epistemologia di Deleuze; ed il compito del realismo è proprio quello di dare una struttura a questi concetti in modo da evitare che si riducano a delle semplici valutazioni soggettive o a delle convenzioni sociali”. In un momento come quello attuale dominato da punti di vista che si escludono a vicenda in quanto privi di quella tensione cognitiva dovuta al confronto con le istanze del reale, l’invito a ‘fare ontologia’, una sana ontologia da parte di Manuel DeLanda nei contesti in cui si opera e si vive è un modo per confrontarsi con i problemi reali di natura sempre ‘cosmopolitica’ nel senso di Stephen Toulmin e di Mauro Ceruti; e sta a noi con le armi del pensiero aperto in più direzioni cogliere ‘le intensità virtuali’ implicite nelle scienze e nel mondo e tradurle in termini di complessità crescente per far fronte alle inedite sfide epocali che ci attendono, anche perché, a dirla con Simone Weil, una maggiore conoscenza dei fatti ci porta a sceglierne quelli più rilevanti e quindi ad essere più responsabili e meno in balìa di ‘valutazioni soggettive’ col loro peso inevitabilmente ideologico.