
«Ma di certo, l’enigma più grande e straordinario, ancora più che l’universo, è la nostra mente, di cui ancora sappiamo tanto poco, molto meno di quello che essa ha capito dell’universo»
(Margherita Hack)
Calipso si è svegliata trafelata: stava sognando di aver fatto tardi, due ore oltre la tabella di marcia, non aveva svegliato i suoi figli, non li aveva mandati a scuola ed aveva dimenticato di avere un appuntamento. Trafelata, letteralmente trafelata ha, nonostante tutto, subìto il suono della sveglia all’alba che è traumatica sempre, anche quando salva dagli incubi.
L’aveva scelto con cura quel suono, perché non le offendesse l’udito, ma essendo colpa del dover abbandonare il letto e non del suono in sé, i timpani riprendevano vita in ogni caso con l’espressione tipica di chi esclama: “E no, di nuovo, no”.
Se l’è ripreso il suo amico Piumone, che non è sostantivo, ma nome proprio; ha spostato con il piede il culone del suo gatto che sì, s’è messo a ciambella là come se il resto del mondo non esistesse e, dopo cinque intensissimi minuti, ha messo le gambe giù dal materasso, preso la sua vestaglia, poggiato i gomiti sulle ginocchia e chinato la testa fra le mani.
La donna che pensa? Macché, la donna che fa pace con la trincea, perché ci deve andare; che fa pace con la macchinetta del caffè in cucina, perché ci deve andare; che fa pace con il gelo del bagno, perché ci deve andare; che fa pace con tutte le violenze di ogni mattina.
E nel bel mezzo di questa infernale dependance giornaliera, la donna che ringrazia per aver aperto ancora una volta gli occhi e fa pace con la sua verità quotidiana, anche dopo aver fatto di tutto per farci a botte e sbugiardarla: l’insaziabile bisogno di infinito.
E cosa c’è di finito nella vita? Tutto quanto si può dare visibilmente: il danaro, gli oggetti, il cibo, il corpo.
L’infinito? Beh, è anima. Solo e soltanto anima. E valla a saziare tu una così alta pretesa. Far mangiare l’anima, che intanto va cercata, poi va trovata, poi va capita anche nella lingua che parla; fatto ciò tocca tentare di avvicinarla e, se non ti disintegra a morsi, tocca prendersi la briga di nutrirla.
Salve, sembrava la fine della fatica e invece no, era solo l’inizio. Nutrila tu un’anima che non ha nessuna fame di finito! E, soprattutto, portatela dietro un’anima così!
Si è guardata allo specchio, il volto ancora a forma di cuscino; ha premuto il pulsantino della ridetta macchinetta per il caffè, l’ha sentita borbottare e le ha detto: “mia cara, tu sei al mio servizio, ma io sono al servizio di tutto quanto non ha forma”.
Ed ha sorriso a sé stessa: sono obiettivamente la più grossa rottura di coglioni possa capitare in una vita. Inabitabile. E proprio a me dovevo essere destinata? Nutrirmi l’anima, l’unica cosa che non posso fare da sola, sperando di sentirmi soddisfatta, si è detta.
Eppure, attraverso l’aria…
(Il finito non ha niente di sbagliato in sé, ma ha un vestito difficile da trovare: come niente gli metti addosso quattro stracci e lo riduci al minimo sindacale. E no, il finito non se lo merita. Il finito va preso, ma è la strada che fai per ottenerlo che cambia le cose. E se la strada non è infinita, il risultato fa solo una cosa: schifo).
Una dalle pretese altissime, Calipso. Ma chi può fargliele abbassare, ancora deve nascere. Piuttosto, ad essere fortunati, è nato chi ha capito e non si è fatto venire l’orticaria improvvisa e purulenta.
Giobbe? Un principiante.