La gente è il più grande spettacolo del mondo. E non si paga il biglietto.

(Charles Bukowski)

Questa è la storia di uno di noi, anche lui nato per caso in Via Caracciolo, a Napoli, e trasferito al nord per una serissima proposta di lavoro accettata su due piedi: ma che ci volete fare? Siamo insegnanti, amiamo il nostro benedetto lavoro, lasciamo che ci insegua, mentre lo rincorriamo, infischiandocene tanto di Caracciolo a Napoli, quanto di Sparano a Bari.

Bene, da una lunga conversazione davanti al mare…

Sono le amicizie che ti scegli quando non sei più così incosciente, ma nemmeno il suo opposto, quelle a cui, per qualche ragione che è meglio far finta di ignorare, devi necessariamente prestare attenzione.

Quelle dell’età della scemitudine (cit. la nonna), quando passavi un sacco di tempo al computer su C6, la chat di Atlantide.

All’epoca non sapevi che stavi sfondando la porta dell’eterna solitudine e dei rapporti a tre: tu, l’amico/a e il display. Un display che stava irrimediabilmente tramutando le persone in nickname e non in loro stesse; solo nell’icona che diventava la loro sagoma, quello che tu ritenevi fossero, certamente non quello che in realtà erano.

Così, fra qualcuno che cercava di attirare l attenzione scrivendo:

  • Ehi, LunaPiena! (Perché il nick destinatario era “foolmoon”) ed a cui sistematicamente si rispondeva
  • LunaScema! LunaScema! (Le due “O”, benedetti ed ignorati dettagli!) e qualcuno che prendeva in giro, cercando di capire se l’interlocutore casuale sapesse che l’osmosi non era una marca di calze (famose Omsa), spuntava qualcuno senza indicazione di sesso o provenienza. Anche il nickname era un richiamo all’invisibilità: “fantom73”.

Solo molto dopo si sarebbe scoperto che in quel nickname c’erano iniziale di nome, cognome, nome del gatto… il mondo; un mondo che stava inciampando in un altro e nel corso dei successivi vent’anni, sarebbe diventato un tutt’uno.

L’attuale direttore del dipartimento di biologia molecolare dell’Università di Anversa, (mecojoni! Ops… e scusate, è scappato) quello che ha camminato, curato e pure a tratti calpestato gli ultimi vent’anni di esistenza: è ancora lì, a metà fra il “non ci sono mai” eppure “ci sono sempre”.

Amico? Mah, stante il racconto che mi è stato fatto, mutuerei quel tale Fabio Volo: “il nastro su cui ho inciso le mie registrazioni migliori”.

Eccolo il direttore, una sera qualsiasi, presente a cercare di capire che diavolo preparare per cena:

  • Oh, io mangio insalata di valeriana e tonno! (Gli dice il prof.).

E lui, il direttore, conscio dell’ipersonnia cronica dell’amico (usando ironicamente un termine che, invece, indica una patologia seria, la quale grazie a Dio ancora non c’è e soprattutto, un sostantivo che non si legge come i comuni mortali pensano, poiché è ipersònnia e non ipersonnìa), risponde candidamente:

  • Stasera entri in coma, allora.

Il  pensiero del prof.?

  • Sì, vabbè! Tu e la biologia! Mò l’insalata che fa dormire. Ma va, va!

Così ecco la cena, parlano, si vanno ad impelagare in discorsi sui legami, sulle assenze, sulle presenze e sul fatto che nessun legame sarebbe un male se, il primo fra loro, fosse il legame con sé stessi e con la propria dignità. Del resto è per questo che loro due sono sopravvissuti a tutto, anche alle morti più o meno apparenti. Certo, non a poco prezzo, basta guardarli oggi, ma di fondo ancora non è arrivata la diagnosi attesa (e chissà quante volte e da quanta gente augurata) di encefalogramma piatto.

Discorsi fra un dottore in biologia ed un dottore in teologia.

Due elementi che ancora non si sono sputati in faccia a vicenda e nemmeno si sono mai mossi, ognuno dalle proprie convinzioni. Di fatto uno è l’ateo serio più cattolico di troppi cattolici, l’altro è il credente razionale, più razionale di troppi scienziati (quelli delle scienze cosiddette “dure”, mica pizza e fichi).

Lascio alla vostra fervida immaginazione cosa possa essere un siparietto siffatto, che si consuma di sera, dopo un’intera giornata di lavoro, al rientro a casa, dove lo splatter regna in ogni dove e nel luogo in cui serve trovare uno spazio per non perdersi nel disordine.

Il fatto è che arriva l’indomani mattina ed il prof., credente razionale, dice all’ateo cattolico:

  • Io sto dormendo in piedi!

E lui, il direttore, risponde:

  • Hai mangiato valeriana!

Così il prof. butta fuori d’impulso il pensiero morto la sera prima:

  • Ma smettila! L’insalata che nutre Morfeo ed insieme mi fanno narcolettico. Vafan***

Ed è lì che si consuma il sempreeternodrammatuttattaccato. Quello tragicomico e reale. La risposta successiva:

  • E certo! Tu credi alle cose indimostrabili, ma non credi alle cose dimostrate!

Chapeau! Colpito e affondato, il prof. ride, prende settordici caffè, va al lavoro; per la prima volta dall’inizio dell’anno accademico si è portato dietro un pranzo decente. Apre il contenitore quando è ora: valeriana e uova sode. Pensa di essere obiettivamente cretino!

Ma come? Gli hanno dimostrato che determinate abitudini, reiterate nel tempo, non fanno che metterlo in uno stato di posticcio coma farmacologico e lui che fa? Persevera?

Sì, è cretino. Ma questo non gli piace. Così si guarda intorno, per qualche ragione fissa il display del suo telefono senza toccarlo, posa lo sguardo sul contenitore del suo pranzo, lo afferra, va verso il cestino della spazzatura, lo butta, segue le voci indistinte dei colleghi che lo aspettano nella stanza affianco e chiede:

  • Scusate, qualcuno divide il pranzo con me? Avevo sbagliato completamente ingredienti!

Lo guardano, ridono, gli passano la qualsiasi e lui ricorda improvvisamente che il mondo è pieno di commestibili bontà.

Ed anche questo non è scientifico, non quanto il suo contrario.

Ed ancora, che ci vogliamo fare?

Il prof. crede all’indimostrabile, anche e soprattutto perché ha sempre in tasca la sua carta buona: il potere del dimostrato.

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FontePhotocredits: reinterpretazione pixabay.com
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.