«Sognavo la vendetta: capii che non ero come il mio assassino e da quel momento sono diventata quella donna libera, quella donna di pace, che sono anche adesso»
(Liliana Segre)
Caro lettore, adorata lettrice,
lo sai bene, difficilmente il nostro caffè si sofferma espressamente su fatti di cronaca. Ma vedi, hanno ucciso, hanno massacrato Willy, in un modo così barbaro, in un modo così inumano, che tacere mi sarebbe parsa viltà, una meschinità non degna di noi: perché, davanti a tanto, proprio tacere non si può.
E c’è dell’altro. C’è che qualcuno, non importa quanti, non importa se una sparuta minoranza, ha persino inneggiato all’efferatezza. I familiari degli aggressori hanno licenziato la tragedia con un: «Era solo un immigrato». Altri non meglio qualificabili esseri, che pure furono umani, hanno congegnato commenti del tipo: «Come godo che avete tolto di mezzo uno scimpanzé. Siete degli eroi!».
Ora, a parte il fatto che gli eroi sono quelli che rischiano la propria vita per salvare la vita altrui, a parte il fatto che solo dei vigliacchi si scatenano in quattro contro uno, a parte il fatto che gli eroi non scappano a nascondersi dopo essersi divertiti a saltare addosso a un corpo inerme, a me quel che resta è il volto di Willy: lo splendore del suo sorriso, la luce dei suoi occhi, la pulizia del suo viso.
E così, quando lo scorso 10 settembre mi sono soffermato a considerare che Liliana Segre compiva 90 anni, ho pensato: Willy come Liliana. Uno morto troppo giovane, l’altra sopravvissuta miracolosamente, ma entrambi da celebrare: e insieme.
Liliana, una persona che ha visto la propria famiglia sterminata. Liliana, agli occhi truci dei nazisti, “colpevole di esser nata”: proprio come Willy agli occhi barbari dei suoi assassini. Liliana, ancora oggi, a 90 anni, oggetto di attacchi razzisti. Proprio come Willy, fiore spezzato a calci e pugni. Lui, che i calci sognava di darli solo ad un pallone.
Liliana che, proprio come Willy, ha solo parole di pace: perché è donna affrancata dal rancore, perché ripudia la violenza. Perché nessuno è libero come chi non sa odiare. Proprio come Willy.
Amico mio, amica mia, più vado avanti, più disimparo quel che, da giovane presuntuoso, pensavo di aver appreso. Ad ogni capello bianco, imparo a perdere una certezza, a liberarmi dalle zavorre delle risposte preconfezionate, dalla vuota prosopopea di chi pensa di aver sempre la soluzione pronta. Oggi, non pretendo di offrirti ricette sul perché del male. E non mi interrogherò né ti tedierò oltre sul come sia possibile che esista un Dio buono, visto che l’uomo sa essere così cattivo, così malvagio. Eppure ci ho provato, altroché se ci ho provato!
Nondimeno, oggi, mi sento solo di dirti che, se un paradiso esiste, non può che essere la casa dei Willy e delle Liliana; la casa di quanti, malgrado tutto, pur senza balzare agli onori della cronaca, sanno solo essere uomini e donne di pace, donne e uomini di luce.
Questa, solo questa, la mia «storta sillaba e secca come un ramo».
Elie Wiesel: «Il genere umano deve ricordare che la pace non è il dono di Dio alle sue creature; la pace è il dono che ci facciamo gli uni con gli altri».
Caffè un po’ amaro oggi, ma necessario. E l’accostamento di Willy a Liliana è molto opportuno.
Chi vuole riscrivere la storia usa l’incoscienza del vuoto di memoria per alimentare la radicalità del male. Soggetti con scarsa capacità cognitiva non riescono nemmeno a mettersi in piedi e guardare in faccia il valore dell’essere umano. Stranieri della conoscenza con la sola attitudine ad una pericolosa propaganda. E su questa propaganda ci sguazzano i bulli senza dignità.
Oggi più che mai è necessario scegliere definitivamente tra l’inferno e la ragione, appassionarsi al valore della conoscenza piuttosto che abbandonarsi pigramente all’istinto o ad un miserabile “non è affar mio”.
La memoria non è solo ricordo, ma maestra di vita per non ricadere nel buio della ragione, nell’inferno delle opinioni; la memoria è l’identità di un popolo necessaria per diventare essere umano.
Grazie, Antonio. Trovo tu abbia usato parole di grande efficacia.
Non voglio, non posso tacere. Non posso farlo da docente e da madre.
Gli anni trascorsi nella vecchia sede del nostro PES del CPIA BAT sono stati una vera e propria lotta, una costante difesa delle diversità da chi ci voleva omologati ad un unico modello: non era tollerata la presenza di chi potesse mettere in dubbio le microscopiche, misere, meschine certezze di taluni. Avevano creato un comitato dei genitori degli alunni del mattino, fornito anche di un presidente, al fine di osteggiare ed eliminare il nemico insopportabile costituito dai nostri corsisti, rei di essere fuori dagli schemi. Le accuse: i corsisti del CPIA portano i pidocchi, i topi (fu organizzata all’uopo anche una derattizzazione), puzzano, fanno perdere iscritti.
Un pomeriggio, giunti a scuola, abbiamo letto a caratteri cubitali uno striscione, realizzato appositamente per noi da Casapound, nel quale veniva detto ai nostri studenti africani di tornarsene a casa perché codardamente avevano lasciato la loro patria. Così seguivano dispetti, angherie, provocazioni anche a noi docenti, intralciando il nostro lavoro, affinché sparissimo, evaporassimo insieme con i nostri corsisti.
Abbiamo lottato strenuamente: le pareti del nostro corridoio erano tappezzate di nostri lavori, sintesi delle vite di ciascuno dei nostri studenti; in collaborazione con alcuni coraggiosi docenti del mattino abbiamo realizzato un coro gospel; abbiamo organizzato giornate di incontro e di conoscenza reciproca aperte al pubblico; abbiamo scritto, divulgato racconti di vita dei migranti.
Un giorno all’improvviso abbiamo avuto l’amara sorpresa di vedere distrutte in un sol colpo tutte le testimonianze di vita vissuta dai nostri corsisti e da noi docenti: motivo ufficiale, la pitturazione delle pareti del corridoio della scuola. Nessuno ha pensato a chiamarci per poter conservare tutti gli elaborati dei nostri studenti: damnatio memoriae.
Così, da esuli, abbiamo avuto una nuova possibilità di vita nella nostra nuova sede, anche se consci di dover costantemente vegliare sull’infinita ricchezza offerta dalle tante preziose diversità delle esistenze di ciascuno.
Non esiste razzismo nel nostro Paese?
Da madre ho vissuto sulla mia pelle l’angoscia, il dolore di veder tornare mio figlio, allora diciassettenne, con il volto tumefatto per aver difeso un suo amico da un branco di bulli per strada. Mio figlio ha avuto la grazia di essere salvato: ha subito un intervento d’urgenza a causa dello sfondamento del pavimento orbitale e ne è venuto fuori. Le fosche ombre, però, quelle che si agitano dentro ognuno di noi, abbiamo il dovere di contrastarle sempre e comunque.
Willy è anche nostro figlio, ma di più, è ognuno di noi; allo stesso tempo, però, possiamo esser preda dei nostri più biechi fantasmi: sta a noi scegliere da che parte stare e che strada imboccare.
Auguro a tutte le componenti della scuola un sereno anno scolastico, in presenza o a distanza che sia. Perdonatemi, ma non volevo, non potevo tacere.
Parole che le fanno onore. Grazie, professoressa, e buon anno scolastico!